venerdì 18 maggio 2018

A cena da Catullo (carmen XIII)

Catullo, carm. XIII

Da me cenerai bene, mio Fabullo,
se hai gli dei dalla tua, tra pochi giorni,
se con te porterai una buona e lauta
cena, non senza una ragazza splendida
e vino e sale e un mucchio di risate.
Se ti porterai questo, bello mio
dico, cenerai bene. Il tuo Catullo
di ragnatele ha pieno il borsellino.
Ma otterrai in contraccambio amore vero
e quanto è di più dolce e raffinato:
ti darò un olio che alla mia ragazza
diedero in dono veneri e Amorini.
Ad annusarlo chiederai agli dei
di farti, mio fabullo, tutto naso.



Catullo, carm. XIII
Cenabis bene, mi Fabulle, apud me
paucis, si tibi di favent, diebus,
si tecum attuleris bonam atque magnam
cenam, non sine candida puella
et vino et sale et omnibus cachinnis.
haec si, inquam, attuleris, venuste noster,
cenabis bene; nam tui Catulli
plenus sacculus est aranearum.
sed contra accipies meros amores
seu quid suavius elegantiusve est:
nam unguentum dabo, quod meae puellae
donarunt Veneres Cupidinesque,
quod tu cum olfacies, deos rogabis,
totum ut te faciant, Fabulle, nasum.



Eh, mamma mia, per scrivere qualche cosa di sensato su questo carme di Catullo, mi sono andato a rileggere qualche commento scolastico e accademico e veramente mi sono cadute le braccia. Ho pensato che, se si vuole uccidere una poesia bella e scherzosa come questa, bisogna proprio vivisezionare il cadavere e metterlo al microscopio. In questo modo, della poesia si saprà tutto, ma proprio tutto, anche se si perderà una cosa, una soltanto (per fortuna, una soltanto dico per fortuna), la poesia. Spero di non risultare così noioso e insulso anch'io, quando spiego queste cose, perché altrimenti m'ammutino e vado a fare altro. E dire che mi era sempre piaciuto, questo "carmen", per l'ironia del poeta che invita a cena l'amico Fabullo e gli dice di portarsi la cena, non senza una ragazza splendida ovviamente e tutto il resto utile alla buona riuscita dell'incontro. Del resto, da che mondo è mondo, «carmina non dant panem», «la poesia, come è noto, non dà pane» (l'ho tradotto così in un sonetto che adesso non trovo più, ma prima o poi ce la farò a riproporlo). M'auguro però che mi si creda sulla parola; del resto, come si può immaginare, ora mi è rimasta solo quella. E dire che mi pareva d'essere abbastanza facondo un tempo. Già, la poesia va fatta vivere attraverso la lettura e l'esecuzione, non attraverso l'analisi e la micidiale parafrasi inflitta a tutti gli studenti. A ogni modo, Catullo è geniale nell'invitare il suo amico Fabullo: casa sua è sempre aperta, basta essere generosi e non andarci a mani vuote. Ma, al di là di tutto, non vi sarà un'allusione un po' maliziosa in quell'ultimo verso in cui si dice che diventerà «tutto naso»? Mah... quando avrò un po' di tempo, proverò a indagare meglio. Adesso m'accontento della traduzione, che non mi pare nemmeno troppo male. Ma si sa, sono molto modesto...

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Il poeta Catullo legge uno dei suoi scritti agli amici, da un dipinto di Stefano Bakalovich (1885), Wikipedia

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