giovedì 31 gennaio 2019

San Giovanni Bosco sacerdote

Apostolo dei giovani, fervente
uomo di Dio, tenace costruttore
del regno, infaticabile, paziente
educatore

dei piccoli, hai compreso che la scuola
dà dignità a ogni singola persona
e hai avuto per tutti una parola
amica, buona,

Giovanni, a cui Gesù ha manifestato
la salvezza di tutti in paradiso,
a cui si è aperto il cuore immacolato
come un sorriso

di Maria, madre nostra e della Chiesa,
che tu hai servito con amore immenso,
trovando nella Messa la difesa,
la gioia e il senso,

ora prega per noi, che siamo in via,
aiutaci ad amare come ci ama
chi si offre ancora nell’Eucarestia,
ci vuole e chiama.

Casalecchio di Reno (Bologna), 31 gennaio 2019
La grandezza di san Giovanni Bosco (1815-1888) sta nella gioia di aver compreso che la dignità dell’uomo sta nel riconoscersi figli di Dio e fratelli di Gesù. Chi vive stretto dal bisogno materiale, da impulsi non buoni o è indotto a questo da condizioni sociali avverse, va aiutato, perché il Cristianesimo è conoscenza del Signore e di sé. L’opera di san Giovanni Bosco di recupero dei giovani è stata esemplare, perché tutta uniformata nell’amore di Cristo per gli uomini. Anch’egli, del resto, anche Giovanni, era di umili origini, ma questo non gli ha impedito di divenire costruttore del regno di Dio e operatore di pace. C’è un’urgenza educativa nell’opera di san Giovanni Bosco che lo rende attualissimo anche oggi, in cui la comunicazione cattiva travia o rischia di traviare molti giovani e non solo. All’epoca si parlava di stampa cattiva, contro la Chiesa e contro Gesù, ma oggi la situazione non è molto diversa con i nuovi mezzi di comunicazione. L’esempio di san Giovanni Bosco quindi dovrebbe ispirare tutti gli educatori e tutti coloro che hanno a cuore la sorte dei giovani, perché non perdano le loro anime. Tutto ciò che non è eterno, del resto, è destinato a passare; ma l’anima non può essere perduta, perché appartiene al Signore. In questo dobbiamo richiamare sempre a noi stessi e agli altri la bellezza e l’unicità della nostra vita, degna in ogni istante e condizione di essere vissuta e amata. 

Copyright testi(C) Federico Cinti 2019
Immagine: santino da raccolta privata

domenica 27 gennaio 2019

Nella terza domenica del tempo ordinario - Anno C - (Letture: Ne 8,2-4.5-6.8-10; Sal 18; 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21)

Si è avverata in Gesù la profezia:
il Signore dimora in mezzo a noi,
egli che è verità, che è vita e via,
e dà tutto se stesso per i suoi:

la Parola s’è fatta Eucarestia,
Pane di vita senza un prima e un poi
nell’eterna bontà, nell’armonia
in cui ciò che Dio vuole è ciò che vuoi!

Ora possiamo, oltre ogni umano velo,
ben al di là dei limiti, guardare
con occhi fiduciosi verso il cielo,

ora possiamo veramente amare
tutto il mondo alla luce del Vangelo,
luce di carità, senza sbagliare.

Casalecchio di Reno (Bologna), 27 gennaio 2019



È Gesù a svelare gli arcani dei tempi antichi, è Gesù a rivelare le verità nascoste nelle profezie, è Gesù a dare pienezza all’attesa del cuore, di ogni cuore. Ecco dunque che, come di consueto, va il sabato in sinagoga, nella sinagoga di Nazareth, del suo paese, dove è cresciuto e tutti lo conoscono, e si siede assieme ai suoi, a coloro che lo conoscono, a dire in fondo che la sua presenza è il fondamento di ogni assemblea liturgica. Poi, secondo il racconto di Luca, si alza a leggere: gli è dato il rotolo del profeta Isaia  e, trovato il passo in cui si dice che «lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore», proclama che quel giorno quella scrittura si è adempiuta in lui. È lui la Parola di verità, venuta ad annunziare la lieta novella, che il regno dei cieli è già qui presente tra noi, che non esistono più prigionieri, che a tutti si è svelata la luce, la luce vera, la luce del mondo. In quel momento e per sempre il mondo è stato rinnovato e trova il suo nutrimento nell’assemblea che noi chiamiamo Messa, mensa di parola e di Pane vivo, d’Eucarestia, consacrato per Cristo, con Cristo e in Cristo. Non c’è altra via di salvezza sotto il cielo che possa liberare gli uomini da colpa e morte. E tutti nella sinagoga cominciano a guardare Gesù con gli occhi dello stupore, come noi oggi sappiamo che proprio attraverso quello stupore che si fa certezza di qualche cosa di grande siamo chiamati a una gioia che non ci potrà essere tolta. E Per questo la Messa è davvero «fonte e culmine» della nostra vita e della Chiesa. 
Copyright testi(C) Federico Cinti 2019 
Immagine: Gesù nella sinagoga di Nazareth - Fonte: http://amico.rivistamissioniconsolata.it/2016/09/01/luca-09-ges-nella-sinagoga-di-nazareth/

lunedì 21 gennaio 2019

Sant'Agnese vergine e martire

Hai patito dal tuo persecutore
ogni tipo di strazio, di tortura
pur di restare candida nel cuore,
mantenendoti salda casta pura

per il tuo sposo, per il tuo Signore,
la cui fede ti ha resa più sicura
nella testimonianza, il cui amore
ti ha fatto forte, senza più paura,

fino a vincere impavida la morte,
Agnese, santa vergine prudente,
che ora vivi nel cielo, nella corte

serena di Dio Padre onnipotente,
e godi senza fine della sorte
più lieta in paradiso eternamente.

Casalecchio di Reno (Bologna), 21 gennaio 2019

Molto antiche sono le notizie del martirio della giovanissima Agnese, nobile romana, martirizzata a soli tredici anni nel periodo più travagliato del Cristianesimo antico, forse durante l’impero di Valeriano (tra il 258-260) oppure al tempo della persecuzione di Diocleziano (304). È proprio l’antichità delle fonti a rendere certe le virtù eroiche di questa vergine, che ha donato tutta la sua breve vita all’unico, vero sposo, a Gesù, come nella parabola le vergini prudenti con le lampade accese. Ha patito molti e inutili tormenti, ma nondimeno ha resistito senza paura, fino a effondere il suo sangue a seguito del taglio della gola, come un agnello sacrificale. Da qui deriva, infatti, il suo nome, perché Agnese questo significa, ‘pura’, ‘santa’, e ha la stessa etimologia della parola ‘agnello’. In un’epoca come la nostra di traversie ideologiche e di persecuzioni a tutti i livelli, l’esempio di Agnese rifulge splendido davanti a noi, perché non esiste né può esistere un’età per appartenere al Signore. E per questo bisogna pregare ed essere sempre pronti a testimoniare la nostra fede, proprio come Agnese.   

Copyright testi(C) Federico Cinti 2019 
Immagine: sant'Agnese in un vecchio santino della Gioventù Femminile Cattolica Italiana di Milano - da raccolta privata

domenica 20 gennaio 2019

Nella seconda domenica del tempo ordinario - Anno C - (Letture: Is 62,1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-12)

Il primo segno in cui si manifesta
l’ineffabile gloria del Signore
è visibile a tutti nella festa
di nozze, nella gioia dell’amore

tra lo sposo e la sposa, in cui s’arresta
l’ansia inerte del correre delle ore
verso il nulla, in cui fragile s’attesta
l’equilibrio insondabile del cuore,

nel matrimonio celebrato a Cana
a cui Gesù, invitato con Maria,
è il vero sposo che anima e risana

ogni difficoltà trovata in via
col vino nuovo, l’acqua che promana
da lui, che è Dio, che è l’unico Messia.

Casalecchio di Reno (Bologna), 20 gennaio 2019
Non è dettaglio irrilevante che durante le nozze di Cana Gesù manifesti il primo segno della sua gloria. L’evangelista lo sottolinea molto chiaramente; anzi, proprio quel primo segno fa sì che i suoi discepoli credano in lui. Già, perché Gesù è invitato al matrimonio cui partecipa la madre assieme ai suoi Apostoli, che aveva chiamato tre giorni prima, secondo il racconto del quarto Vangelo. Ed è un segno, si badi bene, non un miracolo, perché secondo Giovanni il Maestro compie segni che permettano di riconoscere che egli è il Messia tanto promesso dalle Scritture, non miracoli che mostrino solo la sua grandezza e la sua bontà. Come è tipico della rivelazione divina veterotestamentaria, l’alleanza che Dio stringe con Israele è proposta sotto il simbolo delle mistiche nozze. Anche Gesù in questo brano si mostra come lo sposo, colui che predispone il vino per la festa, quando esso finisce. Le vere nozze, pertanto, non sono quelle cui Gesù partecipa, bensì quelle celebrate nel mistero tra sé e il suo popolo proprio grazie al vino nuovo creato dall’acqua che ha riempito completamente tutti i recipienti a disposizione. Come alla Samaritana Gesù promette un’acqua che estingue per sempre la sete, così alle nozze di Cana l’acqua trasformata in vino è il segno della nuova alleanza tra il Signore, Gesù stesso, e un nuovo popolo, che è tutto il mondo, passata attraverso il battesimo. la stessa immagine nuziale è ripresa, da Giovanni, durante il processo, l’iniquo processo, che Ponzio Pilato celebra con Gesù in qualità di sposo. Ecco perché, al di là di tutto, nella gioia infinita della festa di nozze si adombra un mistero molto più grande, ecco perché, quando le difficoltà della vita paiono rendere tutto vano, occorre rivolgersi a chi dà il senso vero alla realtà.
Copyright testi(C) Federico Cinti 2019
Immagine: Nozze di Cana - Di Giotto - Web Gallery of Art:   Image  Info about artwork, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15884083 - Fonte:Wikipedia 

giovedì 17 gennaio 2019

Sant'Antonio abate


Hai lasciato ogni cosa per amore,
spinto dal desiderio del deserto
nella pia solitudine del cuore,
per rendere il tuo spirito più certo

dell’intima presenza del Signore
a cui tutta la vita ti sei offerto
non temendo né re né imperatore,
Antonio, difendendo a viso aperto

la Chiesa, bisognosa del tuo aiuto,
i poveri di Dio, da anacoreta
inflessibile, come sei vissuto

e hai istruito ogni monaco, ogni asceta,
finché, vinto il demonio, ti ha voluto
Gesù con sé nella sua pace lieta.

Casalecchio di Reno (Bologna), 17 gennaio 2019

Il giorno dopo il mio compleanno, il 17 gennaio, mi piace ricordare una figura molto interessante del monachesimo antico, Antonio abate (250-356), anacoreta egiziano che, secondo il precetto di Gesù, per essere perfetto ha venduto tutti i suoi beni, li ha donati ai poveri e poi ha seguito il Signore nel ritiro interiore del deserto. E non era povero, come spesso si crede che siano i santi; anzi, apparteneva a una agiata famiglia di agricoltori di Coma in Egitto. Ma, divenuto orfano, sentendo sempre più pesante la condizione in cui vive e, sistemata la sorella presso un monastero di vergini, si ritira nel deserto alla ricerca di Dio. È proprio nella solitudine devota che trova ciò che cerca. Gli anni d’eremitaggio non sono stati per lui certo facili, perché sono spesso lunghi i silenzi di Dio e tante le tentazioni demoniache. Eppure resiste, ovviamente per amore del primo e unico Maestro, e infine il Signore gli si manifesta nella sua realtà più vera. Non mancano, tuttavia, anche episodi in cui ha partecipato alla vita della sua epoca, quell’età di passaggio tra le persecuzioni dei cristiani e la tolleranza del nuovo culto. A ogni modo, si è opposto anche a Costantino, scrivendogli una lettera in cui rivendica l’autonomia dei cristiani rispetto al potere secolare; allo stesso modo, sostiene il vescovo di Alessandria, Atanasio, nella sua lotta contro l’arianesimo, l’eresia che infestava pericolosamente allora la cristianità. La vita di Antonio è molto lunga, perché dura ben 106 anni. Nella sua fase finale viene aiutato da alcuni monaci e, sul suo esempio, si fondano diversi monasteri ed eremitaggi. Quando muore santamente, il 17 gennaio 356, le sue spoglie mortali sono seppellite in un luogo segreto; ma, un paio di secoli dopo (nel 561), vengono ritrovate e traslate prima ad Alessandria, poi a Costantinopoli e infine nel secolo XI a Motte-Saint-Didier, in Francia, dove il suo culto si afferma soprattutto nelle campagne, al punto che la sua iconografia diviene quella di un vecchio monaco con in mano un pastorale a forma di tau e sempre accompagnato da un maiale. Quest’ultimo dettaglio deriva dal fatto che a Motte-Saint-Didier cominciano ad accorrere sempre più molti malati di herpes zoster (nel mondo antico si chiamava ignis sacer, ossia ‘fuoco sacro’) ed è quindi costruito un ospedale per curare i malati. Ben presto, quindi, la malattia prende anche il nome di fuoco di sant’Antonio (quando nel 2013 ho avuto l’herpes zoster, infatti, tutti mi dicevano che mi era venuto il ‘fuoco di sant’Antonio’) e il grasso del maiale veniva impiegato per alleviare il bruciore dei malati. Dall’iconografia col maiale deriva il fatto che sant’Antonio abate diventi nelle campagne il protettore degli animali, tanto che ancor oggi nel suo giorno si benedicono gli animali e le stalle. Insomma, al di là di tutto, Antonio abate è santo importantissimo per i monaci e nel culto popolare.
Copyright testi(C) Federico Cinti 2019 
immagine: Vecchio santino di sant'Antonio abate. Da raccolta privata