domenica 18 ottobre 2020

Nella ventinovesima domenica del Tempo Ordinario - Anno A - (Letture: Is 45,1.4-6; Sal 95; 1 Ts 1,1-5b; Mt 22,15-21)

Non si è invano nel mondo, cui è dovuto

il nostro corrispondere alla legge,

in obbedienza a Dio, con il tributo

chiesto da chi governa, da chi regge

 

l'umanità: così Gesù ha voluto,

così ci insegna. Cristo ci protegge

dal potere del mondo, combattuto

come pastore docile del gregge

 

per valli oscure. Il resto è del Signore,

perché noi siamo suoi, siamo del cielo,

in cui regna infallibile l'amore.

 

Noi non siamo del mondo, umano velo

caduto innanzi al candido fulgore

nella predicazione del Vangelo.

 

Casalecchio di Reno (Bologna), 18 ottobre 2020

Non vi è conflitto, per il Signore, tra la legge umana e quella divina: per servire degnamente Dio occorre essere anche cittadini in questo mondo, pur nella consapevolezza che la patria vera è quella celeste. Come l’anima sta nel corpo e sovrintende a esso, così anche i cristiani nel mondo rappresentano il giusto modo di rapportarsi pure all’autorità civile. Non occorre avere debiti e restituire ciò che ci è stato dato: in questo modo assolviamo anche ai precetti divini. Non è preclusa la rivendicazione di un mondo più giusto, se la legge è sbagliata, e la storia ci offre esempi plurimi di leggi inique e disumane. Il nostro sforzo consiste proprio nell’adeguare il più possibile la nostra vita alla legge di Dio, che è la legge dell’amore, per non avvertire la distanza tra questi due sistemi. Dio, infatti, è più grande di tutto e ogni cosa dipende da lui. È giusto quindi lottare per non essere limitati nella capacità di aderire alla verità. Questo è possibile solo se davanti a Dio siamo puri e gli abbiamo restituito, per quello che ci è consentito dalle nostre umili forze, quanto abbiamo ricevuto. A quel punto davanti al mondo è possibile rivendicare l’equità delle leggi nella loro piena adesione alla volontà di Dio. Davanti alle leggi umane, Gesù non si è tirato indietro: si è fatto processare e condannare, ma vi si è sottomesso in piena comunione con il Padre. Il sacrificio del giusto non è mai inutile; anzi, è seme di nuova giustizia. Spesso le leggi umane confliggono con i precetti di Dio, ma disattenderli per un proprio interesse personale non ci giustifica. È il bene comune che deve essere messo al centro della nostra vita e il bene comune è la salvezza delle anime: quando la legge umana contravviene a questo principio, allora la legge di Dio va rivendicata e pretesa. Il potere politico è al servizio dell’uomo, non il contrario. La legge di Dio, quella che Gesù mostra dalla croce, è una legge che va al di là dei piccoli interessi dei partiti. Vivere nel mondo non significa essere del mondo: noi siamo sempre pellegrini, stranieri anche nelle nostre città, perché siamo consapevoli che tutto è transeunte dinanzi all’eternità cui siamo chiamati. Il Signore ci guida, come il buon Pastore guida il suo gregge: nulla ci può capitare che Dio non voglia. Nemmeno un capello del capo ci verrà tolto, se non è nel disegno di salvezza che ci riguarda. Soprattutto durante i regimi, in cui la libertà personale coincide con lo strapotere dell’io, noi cristiani abbiamo l’obbligo di segnare con la nostra vita la via che porta al cielo, perché dobbiamo essere come astri che indicano il modo giusto, quello secondo Dio, di vivere. Gesù è la verità e la sua legge è amare Dio al di sopra di ogni cosa assieme al nostro prossimo.

Copyright testi (C) Federico Cinti 2020

Immagine tratta dal web

 

domenica 11 ottobre 2020

Nella ventottesima domenica del Tempo Ordinario - Anno A (Letture: Is 25,6-10a; Sal 22; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14)

 Il Regno è come un re che offre un banchetto

per le nozze del figlio: fa invitare

ogni suddito. Tutto è già perfetto,

ma nessuno ci va. Hanno da fare

 

chissà che altro. Quel re resta interdetto.

Manda ancora i suoi servi a radunare

i poveri ai crocicchi: è ben accetto

chiunque. La sala è piena. Nel passare

 

trova uno senza l’abito nuziale.

Lo fa cacciare fuori tra i lamenti,

anche se a nulla serve, a nulla vale:

 

là sarà pianto e stridore di denti.

Molti sono i chiamati, in modo uguale,

pochi gli eletti, tutti si è redenti.

 

Casalecchio di Reno (Bologna), 11 ottobre 2020

Un’altra parabola del Regno: un re, un banchetto nuziale per onorare il figlio che si sposa. Ma di chi è il diletto il figlio del re? L’umanità stessa diventa sua consorte proprio grazie a quella festa grande. I servi del re sono inviati a chiamare tutti i sudditi della città degli uomini, ma quelli declinano l’invito, perché hanno altro da fare. È così per il mondo, alle volte è così per la Chiesa, spesso è così per noi che non siamo in grado di cogliere la bontà degli inviti del Signore. Eppure lo conosciamo da sempre, perché ci ha visitati fin dal giorno del battesimo. Il re conosce bene il cuore umano: sa che non sempre è disposto ad aprirsi alla sua pazienza. Ma viene il giorno in cui le nozze si devono celebrare e chi non partecipa al banchetto rimane fuori, escluso, perché si è escluso da solo. Altri prenderanno il suo posto, trovati lungo le vie e ai crocicchi delle strade. Sono gli ultimi, quelli di cui si sarebbero dovuti occupare i primi invitati. La città degli uomini è spesso ingiusta, ma la città di Dio accoglie tutti a braccia aperte. Ognuno corre a quelle nozze e indossa la veste delle grandi occasioni, quella che gli è stata data all’ingresso. Il tempo si è fatto breve: vi è un’urgenza nella nostra vita. La festa non deve iniziare senza di noi. Essere pronti a quest’incontro è fondamentale per la nostra esistenza e per quella di chi ci ama. Anche Dio aspetta questo giorno con grande misericordia. Nessuno deve essere trovato senza veste nuziale, perché altrimenti verrebbe cacciato fuori, là dove è pianto e stridore di denti, come al tale che il re incontra senza abito. C’è ancora tempo per non rifiutare l’invito del Signore del Regno: la nostra veste è pronta per quell’occasione. Dobbiamo lasciare tutti i nostri impegni, tutti i nostri affari, perché nulla è più importante di quel banchetto. È così anche nella nostra vita: davanti a Dio nulla vale. Quel re è buono e giusto: ama ugualmente i buoni e i cattivi. È come il buon pastore, pronto a lasciare il gregge che conduce per pascoli erbosi, per cercare quelle che si sono smarrite o sono più recalcitranti. Il Regno di Dio è già preparato per noi: anche noi dobbiamo essere preparati a parteciparvi con il cuore immacolato. 

Copyright testi (C) Federico Cinti 2020

Immagine tratta dal web

 

domenica 4 ottobre 2020

Nella ventisettesima domenica del Tempo Ordinario - Anno A - (Letture: Is 5,1-7; Sal 79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43)

Una vigna che un uomo ha costruita

con tanto amore, alcuni contadini

disonesti che poi l’hanno acquisita

per operare i loro biechi fini,

 

i servi che hanno dato anche la vita

per chiedere a quegli uomini ormai inclini

soltanto al male la contropartita

del raccolto dell’uva per i vini,

 

il figlio del padrone, crudelmente

ucciso con disprezzo, furia, boria,

come se il male non contasse niente.

 

Uno spaccato della nostra storia,

di noi, povere anime redente

dall’eterno Signore della gloria.

 

Casalecchio di Reno (Bologna), 4 ottobre 2020

Nella vigna che un uomo ha predisposto, tutto è pronto, addirittura il torchio e la torre. Con una bella siepe intorno, perché nessuno venga a rubare, l’ha protetta e circondata. Quell’uomo ama la sua vigna. Deve partire e la dà in affitto ad alcuni contadini, perché la coltivino per lui; ma, quando manda i suoi servitori, vengono trattati male, bastonati e persino uccisi. Anche il figlio, mandato per ultimo, viene barbaramente ucciso: in questo modo i contadini si possono impossessare, o almeno pensano, della vigna. Il Signore si rivolge ai sacerdoti e ai capi del popolo d’Israele: la vigna è il popolo eletto e la sua elezione è la missione di far conoscere a tutti gli uomini il volto di Dio. Ma quegli uomini hanno trasformato in un privilegio il compito di costruire il Regno di Dio. Ad altri uomini sono proprio i sacerdoti a profetizzare, verrà dato il compito di evangelizzare fino ai confini della terra. La Chiesa è missionaria per volontà di Gesù stesso, il figlio che ha mostrato con il suo esempio che si deve dare la vita per quella vigna, che è il mondo, che è il Regno di Dio. Ma quella vigna è pure il nostro cuore: il Signore ce lo ha affidato perché dia molto frutto. Non sempre siamo disposti a seguire i suoi comandi e i suoi precetti, ma ci ergiamo a giudici di noi stessi, fidiamo troppo sulle nostre forze, come gli uomini di Babele che costruivano la torre per arrivare al cielo. Non è quella la strada che il Signore ha predisposto. Nella nostra vigna dobbiamo mandare via i contadini malvagi, dobbiamo accogliere con benevolenza i servi del padrone buono, perché sono inviati per la nostra salvezza. In questo modo, quando giungerà il figlio, sarà il momento del raccolto e potremo goderne con lui e con il padrone stesso. La nostra vita somiglia alla storia del mondo: accogliere la Parola significa, in fondo, accettare che non siamo capaci di fare molto da soli, che abbiamo costantemente bisogno della supervisione di chi ha piantato la vigna e la ama come la propria sposa feconda. La Chiesa allora deve ogni giorno ricordarsi della missione per cui è stata fondata, perché ognuno di noi possa essere un operaio buono per sé e per gli altri.

Copyright testi (C) Federico Cinti 2020

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