lunedì 29 aprile 2019

Santa Caterina da Siena - vergine e dottore della chiesa

Candida, senza macchia
alcuna, Caterina, come giglio
purissimo in un secolo
di traviamento, tu hai voluto immergerti

tutta in Gesù, nel Figlio
eterno dell’Altissimo, che vigila
sul nostro essere fragile
per riempirlo di sé, della sua gloria.

Ti sei fatta instancabile
strumento d’unità tra le discordie
di disperati spiriti
bisognosi di pace e di giustizia,

nel sangue hai scritto lettere
nel nome del Signore a re e pontefici
per la Chiesa e per le anime
intaccate da ruggine e zizzania,

rivestita dell’abito
delle figlie terziarie di Domenico,
sei vissuta dei semplici
frutti donati dalla terra in grazia,

sei morta con le stimmate
del Signore Gesù, tuo desiderio
sin da quando eri giovane,
e ora vivi con lui, tra le sue braccia.

Casalecchio di Reno (Bologna), 29 aprile 2019

Nella vita di santa Caterina da Siena (1347-1380), Dottore della Chiesa e patrona d’Italia, si trova uno splendido esempio di fragile forza alla ricerca dell’unità, di quel precetto perché tutti siano un cuore solo e un’anima sola. Nella sua epoca la sede papale era come in esilio ad Avignone e Caterina si è battuta strenuamente perché il pontefice riportasse la sede a Roma, al centro della Cristianità europea, risanando in questo modo decenni di lotte e incomprensioni. Non sarebbero finiti i dissidi e le discordie, ma il monito di Caterina restava inciso nei cuori e nei secoli. A distanza di secoli ci si trova in una situazione simile di disgregazione e di smarrimento dell’unità e l’intercessione di questa santa, morta a trentatré anni, come il Signore Gesù, non può e non deve lasciarci indifferenti: ci si deve impegnare nella carità perché si operi il disegno salvifico della pace vera, che nasce dalla giustizia di Cristo. È la purezza del cuore, essere simili a gigli del campo, puri come pura significa il nome Caterina, che fa sì che si possa dare il senso vero alle cose donateci da Dio. anche noi, come lei, dobbiamo sforzarci di essere un segno vivo nella Chiesa, una testimonianza reale di carità e di fede.


Copyright testi(C) Federico Cinti 2019  
Immagine:  Agostino Carracci, Estasi di santa Caterina da Siena, Galleria Borghese, Roma.
                      Di Agostino Carracci - http://ec-dejavu.ru/s/Stigmata_18.html, Pubblico
                     dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6940719     fonte:Wikipedia 

domenica 28 aprile 2019

Nella seconda domenica di Pasqua - Anno C - ( Letture: At 5, 12-16; Sal 117; Ap 1, 9-11.12-13.17.19; Gv 20, 19-31)

Tommaso vuole mettere le dita
nelle piaghe che i chiodi hanno scavato,
desidera vedere la ferita
causata dalla lancia nel costato,

e crederà: non ha mutato vita
alla testimonianza che ha ascoltato,
a nulla vale la parola udita,
se lui non avrà visto né toccato.

Gesù lo sa. Gli appare nuovamente
dopo una settimana. Ecco, lo vede
e Tommaso da incredulo è credente!

Quanto è più forte e autentica la fede,
dice il Risorto, di chi pure assente,
di chi, pur non vedendolo, gli crede!

Casalecchio di Reno (Bologna), 28 aprile 2019

Anche questo di Tommaso è uno dei tanti segni che Gesù ha compiuto perché credessimo in lui. In fondo, Tommaso è come molti di noi, che credono solo quando si trovano davanti all’evidenza dei fatti, quando hanno la prova certa. Tommaso ha paura e non resta con gli altri discepoli nel Cenacolo. Ha paura per sé, per la sua vita, teme la persecuzione e il flagello che possono derivare dal nome del Signore, dal professarsi suoi fedeli. Ma torna, torna ancora tra gli apostoli, perché quella è l’unica comunità in cui ha condiviso la bellezza della verità. Gli altri apostoli gli raccontano che il Signore risorto è tornato, il primo giorno dopo il sabato, il primo giorno della settimana, che è la domenica. Tommaso resta incredulo: vuole mettere le dita nelle piaghe dei chiodi, vuole vedere il costato trafitto dalla lancia, quel costato da cui è uscito sangue insieme con acqua. Il Risorto sa bene che Tommaso ha bisogno di vederlo e di toccarlo e così, otto giorni dopo, riappare nel cenacolo dicendo di nuovo: «Pace a voi!». Sempre il saluto del Risorto è nella pace, perché è lui la nostra pace, la pace del mondo, anche se il mondo si affanna a cercare una pacificazione che non trova. Il Risorto si rivolge direttamente a Tommaso e gli mostra ciò che vuole vedere. L’Apostolo proclama la sua fede: «Mio Signore e mio Dio!». ma Gesù sa che è molto più beato chi crede senza vedere, chi fonda la sua fede sulla parola vera di chi ha visto. Per questo non bisogna ritenere che Tommaso sia più fortunato di chi ha potuto vivere con Gesù, perché tutti noi, anche oggi, viviamo allo stesso modo con lui, perché la nostra certezza è nella Chiesa, corpo mistico del Signore. 
Copyright testi(C) Federico Cinti 2019

Immagine: Incredulità di san Tommaso -Di Caravaggio - artrenewal.org picture n°3757, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2672316

giovedì 25 aprile 2019

San Marco evangelista

Hai conosciuto, Marco, fin da giovane
in casa di tua madre il lieto annuncio
dell’umana salvezza
al mondo: hai sentito ardere

nel tuo cuore la fiamma inestinguibile
della fede in Gesù, senza risparmio
tu lo hai testimoniato
con tuo cugino Barnaba,

con Paolo a Cipro, a Roma, assieme al principe
degli Apostoli, Pietro, fino a scrivere
il tuo breve Vangelo
sapiente, fino a effondere

il tuo sangue per Cristo nel martirio.
Oggi ti ricordiamo, perché susciti
anche in noi il vivo amore
che ti ha colmato l’anima

di gioia vera, gioia senza termine,
perché tu ci accompagni all’ineffabile
casa del Padre assieme
al Figlio e al Santo Spirito.

Casalecchio di Reno (Bologna), 25 aprile 2019
Dell’evangelista Marco (o Giovanni Marco, come detto in At 12,12.25; 15,37)possediamo diverse notizie. Appartiene a una famiglia ellenizzata di Gerusalemme, la cui casa viene messa a disposizione dei primi discepoli di Gesù (At 12,12-16), tanto che non pare inverosimile che proprio in tale contesto si sia tenuta l’ultima cena. Mi piace, pertanto, pensare che Marco abbia conosciuto Gesù e i suoi Apostoli proprio grazie allo zelo della famiglia, in particolare di quello materno, in un’ideale trasmissione della fede dai genitori ai figli. Ha poi seguito Paolo nel suo primo viaggio (At 12,25; 13,5), senza partecipare del tutto all’entusiasmo dell’Apostolo delle genti, al punto di far ritorno da solo a Gerusalemme (At 13,13). Riguardo a lui Paolo e Barnaba, suo cugino, discutono vivacemente nel momento in cui l’Apostolo prepara il suo secondo viaggio missionario (At 15,39-40). Marco segue poi Pietro nel suo viaggio a Roma e si pone al suo servizio durante la prigionia del Principe degli Apostoli (Col 4,10) e infine, quando Paolo viene catturato, si mette a sua disposizione (2 Tim 4,11). È proprio dal contatto stretto con chi ha conosciuto e vissuto con Gesù che nasce il Vangelo di Marco, in cui fortissima è l’opposizione tra il disegno salvifico del Redentore fino alla morte in croce e resurrezione e il mondo che si fa beffe di lui. L’Evangelista muore martire, secondo la tradizione riportata da Eusebio, ad Alessandria d’Egitto, di cui è stato evangelizzatore, fondatore della sua chiesa e primo vescovo.

Copyright testi(C) Federico Cinti 2019 
Immagine: San Marco (Donatello) (1411-1413), Chiesa di Orsanmichele, Firenze  - 
                     da:  CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=287571


domenica 21 aprile 2019

Nella Pasqua di Resurrezione del Signore - Anno C - ( Letture: At 10, 34a. 37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; Lc 24,1-12)

È risorto Gesù! La tomba è vuota:
è il primo giorno della settimana
dopo la Pasqua. Nella pace immota
del mattino è una luce che promana

intorno da ogni cosa, luce ignota
ancora agli occhi e al petto. Un’ansia insana
spinge le donne, una mestizia nota
a chi ha visto la morte, angoscia vana

all’annuncio degli angeli. Nel cuore
una gioia indicibile, un conforto
che non ha fine. È vivo ora il Signore!

Corre anche Pietro: nel sepolcro assorto
vede solo le bende del dolore,
ma Gesù non è lì: Gesù è risorto!

Casalecchio di Reno (Bologna), 21 aprile 2019 
Nel primo giorno della settimana, il primo giorno dopo il sabato, le pie donne si recano al sepolcro per compiere l’atto di pietosa devozione nei confronti del Maestro ucciso così barbaramente. Chissà, forse in cuor loro vogliono in qualche modo ricompensare con un tributo tutto umano chi aveva cambiato la loro vita. Eppure il sepolcro è vuoto, eppure la grossa pietra è stata rotolata via. La pace del mattino comincia a illuminarsi di una luce nuova. Due uomini, mandati lì da Dio, annunciano ciò che Gesù aveva profetizzato già tre volte, ossia che egli sarebbe morto e risorto il terzo giorno. Parole strane, certo, parole quasi incredibili, che tuttavia adesso si sono avverate. Le donne si fanno prime testimoni e annunciatrici della Resurrezione. Non si parla più degli aromi in una quantità esorbitante, cento libbre, trenta chili: non servono più e sarebbero solo una zavorra inutile per la loro corsa. Devono tornare dagli Undici, devono testimoniare la verità. Gli Apostoli pensano che esse vaneggino, ma Pietro ci crede, Pietro che aveva tradito il Signore e se ne era pentito. Corre al sepolcro e trova così come le donne avevano detto. Ora è tutto chiaro: Gesù è vivo, Gesù è risorto dai morti, Gesù è il Vivente! È questo l’inizio di una vita nuova, della vita vera. La Chiesa nasce proprio dalla luce del Risorto. E noi facciamo festa e finalmente intoniamo l’alleluia di gioia e di felicità! 

Copyright testi(C) Federico Cinti 2019
Immagini: 
1) Resurrezione - Di Annibale Carracci -  [2] Louvre . Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org     
     /w/index.php?curid=32892691
2)Pie donne al sepolcro - di Annibale Carracci - Ermitage, San Pietroburgo-http://www.wikiwand.com
    /it/Pie_donne_al_sepolcro#/Descrizione_e_stileda Wikipedia, l'enciclopedia libera


domenica 14 aprile 2019

Nella Domenica delle Palme e della Passione del Signore - Anno C - (Letture:Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23.56)

Entra in Gerusalemme il Redentore
tra le due ali d’un popolo festante:
viene acclamato col più alto onore
come Figlio di Davide trionfante.

Celebra la sua Pasqua il Salvatore
davanti ai propri apostoli zelante:
è l’ora estrema, è l’ora del dolore,
dell’orrendo supplizio più infamante.

Dopo il processo iniquo, con la croce
sulle sue spalle, senza indecisione,
Gesù procede. Il suo è un cammino atroce,

ma volontario: è questa la Passione
del Giusto, è questa la sua morte atroce
che dà agli ingiusti vita e redenzione.

Casalecchio di Reno (Bologna), 14 aprile 2019
Dopo l’ingresso trionfale in Gerusalemme, nella città santa, il Signore celebra la Pasqua assieme ai suoi Apostoli: è quello il momento in cui il vecchio rito viene rinnovato per sempre, in cui Gesù si dona ai suoi come pane e vino per la salvezza di tutti. È quella l’ora suprema, è quella l’ora in cui tutto deve compiersi per sempre. Dopo l’ultima cena, il Signore si ritira sul monte degli Ulivi a pregare il Padre che passi da lui, se possibile, quel calice. In quegli istanti Gesù si mostra in tutta la sua umanità fino a sudare sangue. Ma quello è l’impero delle tenebre: una folla di uomini lo raggiunge, lo circonda e un suo amico lo bacia. Quello è il segno del riconoscimento e del tradimento. Giuda Iscariota non si fa scrupolo di vendere il Giusto per pochi denari. Ma è il prezzo del peccato che deve essere lavato per sempre dal sangue del Salvatore. Il processo è iniquo, le accuse false, anche il governatore Pilato, il potere politico, resta immobile davanti alla grandezza di Dio: non prende posizione, non si compromette, non ha a cuore il bene comune e supremo. La condanna è la pena capitale, è il supplizio della croce, è il dolore dell’agonia. Tutto sembra finito in quell’ora suprema: la via della croce porta a un luogo di desolazione, chiamato Calvario, chiamato Cranio. Gli amici di Gesù lo seguono di lontano; solo Maria, la Madre dei dolori, è con lui sino alla fine, sin sotto la croce, dove è stato innalzato al cielo. Giovanni, il discepolo che egli ama, lo raggiunge, ne ascolta le ultime parole di perdono per chi non sa che cosa stia facendo. Gesù emette il proprio spirito e il cielo s’oscura, la terra trema, la folla che prima godeva di quello spettacolo infame cade nell’ombra del rimorso e del pentimento. Anche il ladrone è stato assolto e chiamato in Paradiso. Anche il centurione riconosce in quel crocifisso il Figlio di Dio, il cui corpo verrà deposto dalla croce e messo in un sepolcro da Giuseppe d’Arimatea, come il seme che muore per dare frutto e risorgere a vita nuova. La morte di Cristo è solo il necessario passaggio a un’umanità rinnovata, che ritorna come Dio l’aveva creata e voluta. Gesù muore per noi e per noi risorgerà questa è la nostra certezza

Copyright testi(C) Federico Cinti 2019
Immagine: Entrata di  Cristo in Gerusalemme, dipinto a olio del 1617 dal pittore Fiammingo Barocco Anthony van Dyck fotografato by Zambonia 2013-07-05 http://collection.imamuseum.org/artwork/78756/index.html
Pubblico dominio. Fonte: Wikipedia

martedì 9 aprile 2019

A sera tarda

Una nenia mi culla. Nell’azzurro
dei sogni tutto è lecito. Non sono
quasi più io. Non so. Seguo il sussurro
lontanare laggiù simile a un suono

che si perde nel sonno. Tutto è spento
intorno, informe. È buio. M’addormento

vagando dietro il filo d’un pensiero
vano nell’ombra cupa del mistero.

Casalecchio di Reno (Bologna), 8 aprile 2019

A volte si è quasi in grado di cogliere il momento, l’attimo prima del deliquio, seguendo un pensiero vano che si fa sogno, che non ha più nulla di corporeo, che quasi si trasfonde in un’altra dimensione. È come un’atmosfera rarefatta nell’azzurro più scuro che diventa buia, che diventa altro da ciò che era e che sarà. Ecco, in quel limbo trovarsi come sospesi nello spazio, nel tempo, nel cuore, dove ogni cosa si fa possibile. Nel dormiveglia tutto è lecito, tutto è facile: anche noi ritorniamo a essere polvere di stelle, ciò che cade de sideribus, torniamo a essere i nostri desideri più reconditi e più veri, nascosti nell’angolo più intimo dell’anima. A tarda sera l’incantesimo si rinnova e si comincia a volare, ad abbracciare il grande mistero dell’universo che ci circonda e che noi circondiamo con le braccia in una reale metafisica d’intenti, perché noi siamo fatti per una dimensione superiore, altra, autentica. A sera tarda usciamo come da noi per un viaggio che non sappiamo, ma che ogni volta riapre porte invisibili, ma reali. 
Copyright testi(C) Federico Cinti 2019
Immagine: Spiral Jetty, United StatesPhoto by Greg Rakozy on Unsplash