Cinque, due o un talento: non importa:
il Signore ci chiede di operare
per il Regno. La via spesso è contorta,
e nulla sembra facile da fare.
Dà molto frutto la gestione accorta:
il Padrone lo viene a ritirare
dai servi: è gioia vera, gioia assorta
in lui quella in cui Dio può fare entrare
quelli fedeli e buoni. Ma chi ha avuto
paura, chi ha nascosto i suoi talenti
sotto terra, chi è stato poco astuto,
è solo un servo inutile: i tormenti
lo attendono, nel freddo buio muto,
là dove è pianto e stridore di denti.
Casalecchio di Reno (Bologna), 15 novembre 2020
Nella storia della salvezza
il Regno è paragonato a un padrone che, prima di partire, convoca i suoi servi
e dà loro da amministrare porzioni del suo patrimonio. Conosce benissimo le
capacità dei suoi servi e a uno affida cinque talenti, a un altro due e a un
terzo uno solo. Non è ingiustizia, quella di Dio, ma riconoscimento della
diversità di ognuno: sa di non poter caricare tutti quanti della stessa
responsabilità. Esistono, infatti, diversità di carismi e questo rende ognuno
utile agli altri. La Chiesa è questo, un soccorrersi vicendevole in nome di
colui che si serve e in cui si crede. La celerità con cui il primo servo corre
a investire i suoi talenti è encomiabile: gli è stato dato tanto e gli sarà
richiesto anche di più. Non lo spaventa, questo; anzi, diviene il motore di uno
zelo che lo arde. Riuscirà addirittura a duplicare quanto ha ricevuto e così
potrà prendere parte alla gioia del suo padrone, gioia immensa e infinita. Non
è facile mettersi all’opera: la paura, la pigrizia, i mille inciampi avrebbero
potuto fermarlo. Ma la sua fede e la sua speranza nel padrone lo salvano fino a
ricompensarlo. Lo stesso fa il secondo, diverso eppure utile alla costruzione
del Regno dei Cieli già in terra, nella Chiesa. Anch’egli otterrà di essere
chiamato servo fedele e buono oltre a partecipare della gioia del suo Signore.
Il terzo, e non perché abbia ricevuto meno, ma perché appunto è diverso e
ragiona in altro modo, è preso dalla paura: il padrone è molto esigente e
chiede quel che non ha dato, miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha
sparso. Sbagliare è molto più facile di quel che si crede. In questo non
obbedisce al suo padrone: non mette a frutto ciò che gli è stato dato, che è il
suo, su misura per lui. Il padrone conosce meglio di loro stessi i servi. Non
era indurli alla tentazione. Ognuno di noi ha un compito da svolgere. Quel
servo sotterra il talento e lo conserva inespresso. Non lo ha sprecato, in
senso stretto, ma non gli è valso a nulla e non è valso a nulla nemmeno per
coloro che avrebbero potuto trarne giovamento. I talenti sono un bene
universale, non un tesoro particolare e riservato. Ecco dunque che cosa gli
rimprovera il Signore, di essere un servo inutile, di non aver messo a frutto
ciò che aveva a disposizione. La Chiesa ha bisogno di tutti, di nessuno può
fare a meno. Chi si sottrae si condanna da solo. Non mostra pentimento, ma
quasi accusa il padrone di pretendere troppo da lui e da tutti. Limite umano,
questo, che affligge parecchi. Il suo posto è tra le tenebre, dove è pianto e
stridore di denti. Se non ci spogliamo di noi stessi fino a dare tutti i nostri
talenti, non possiamo prendere parte alla gioia del padrone, alla gioia del
nostro Salvatore.
Copyright testi (C) Federico Cinti 2020
Immagine tratta dal web
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