domenica 29 novembre 2020

Prima domenica di Avvento - Anno B -

Una lampada brilla. Il cuore veglia.

Così vuole Gesù. Distilla, scivola

il tempo a goccia a goccia, impercettibile

nel concavo silenzio.

 

Quando sarà? Domanda dentro l’anima

all’unico Signore della storia.

Non è questo che importa. Le ore immemori

si perdono nell’attimo.

 

Vegliare sempre. Questo il nostro compito,

la mattina, la sera, tra le tenebre.

Quando sarà? Già il Figlio dell’Altissimo

nacque in mezzo alla paglia:

 

ci si è ormai rivelata la sua gloria.

Si è fatto il tempo breve. In noi la lampada

brilla. Il Signore tornerà ad accoglierci

oltre il filo dei secoli.

 

Lungo sembra il cammino che s’inerpica

chissà dove. Lassù, presso le nuvole,

per sempre brillerà tra le sue braccia

con lui la nostra lampada.

 

Casalecchio di Reno (Bologna), 29 novembre 2020

Avvento, tempo di attesa e di silenzio. Il Signore della vita prese carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Sospeso il cuore veglia e prega nel ricordo di quel giorno in cui la storia della salvezza si è rivelata agli uomini. Nel raccoglimento dell’ora, il monito di essere sempre pronti, perché non sappiamo quando sarà il momento in cui Gesù tornerà nella sua gloria. E tornerà, secondo le sue parole, all’improvviso, come un ladro, se di giorno o di notte non è dato sapere. Occorre restare vigili, con la lampada in mano, operosi nella gioia di collaborare al progetto di salvezza, che Cristo chiama Regno di Dio, da lui annunciato prima di tutti i secoli, già da quando il mondo era stato creato per suo mezzo. Attendere, come il contadino che semina e con pazienza aspetta che nasca il frutto della sua fatica, è ciò che ci è richiesto. È Gesù i il buon seminatore che dirige gli eventi della storia, anche se a volte è difficile comprendere i suoi disegni, percorrere le sue vie, trovare i suoi sentieri. È Maria il modello propostoci: nell’annunciazione trova il senso della sua vita e ci si abbandona fiduciosa. Con questa fiducia il tempo trova il suo compimento. Al termine di questo nostro percorso mortale saremo a faccia a faccia con Gesù. In questo secondo avvento tutto ci sarà chiaro e manifesto. Alla fine il Regno di Dio non avrà fine, nel terzo e ultimo avvento di Gesù, il “Dio-con-noi”.

Copyright testi (C) Federico Cinti 2020

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domenica 22 novembre 2020

Nella Solennità di Cristo Re dell'Universo - trentaquattresima domenica del Tempo Ordinario - Anno A - ( Letture: Ez 34,11-12.15-17; Sal 22; 1 Cor 15,20-26a.28; Mt 25,31-46)

Alla fine Gesù siederà in trono

a giudicare il mondo con giustizia:

a destra chiamerà chi è stato buono,

chi è vissuto servendolo in letizia,

 

chi ha offerto quanto aveva come un dono

all'altrui avversità, all’altrui mestizia,

chi ha ricevuto e dato il suo perdono

ai compagni di viaggio in amicizia;

 

a sinistra porrà chi lo ha evitato

in carcere, straniero, mendicante,

mentre era afflitto, quando era malato.

 

Il Signore Gesù sarà trionfante

col popolo che ha amato, che ha salvato,

nella gloria in cui adesso egli è regnante.

 

Casalecchio di Reno (Bologna), 22 novembre 2020

Saremo giudicati sull’amore: in questo il giudice supremo è molto chiaro. Lo leggiamo alla fine di un anno liturgico, perché si possa fare un bilancio e si possa programmare il necessario avvicinamento al Signore. Vive solo chi vive nell’amore del prossimo, perché il fratello è l’immagine e la somiglianza di Dio in cui dobbiamo cercare il suo volto. Anche noi siamo a immagine e somiglianza di Dio: questa è la vera uguaglianza, non quella che l’uomo cerca di imporre con leggi inique. La legge è sempre imperfetta e fallace. Il giudizio del Signore separerà chi ha vissuto da chi non è mai vissuto, chi ha amato da chi non ha mai amato. Non vi è distinzione di ceto sociale o di provenienza geografica: ogni persona è unica davanti a Dio. Non si può deturpare quest’opera d’arte con l’egoismo o il proprio egocentrismo. La storia umana è la sequela degli insuccessi dell’uomo, quando si allontana dalla rivelazione. La verità non si è nascosta: è la vita del mondo, è la luce dell’umanità. Non può essere nascosta, perché riluce attraverso le tenebre, anche se esse faticano ad accettarla. Noi dobbiamo essere la luce nel mondo, il sale e il lievito della terra. Tutto ciò si condensa nella parola amore, quella carità che resterà alla fine di tutto come unico metro. Ecco, allora, la vita e la verità: nulla ci è stato nascosto. Gesù è davvero il Re di tutte le cose e la sua regalità è una signoria d’amore. Se non si comprende questo, tutto è vano, tutto è inutile: se non costruiamo la città assieme al Signore, la nostra fatica è vana. Forse la città degli uomini oggi pretende di prescindere dal costruttore. Il nostro compito è di essere la luce nel mondo, come l’anima lo è nel corpo. Non possiamo disattendere a questo compito, pena non costruire il Regno, che sempre preghiamo che venga nell’orazione che Gesù stesso ci ha insegnato e che ripetiamo quasi meccanicamente.  Noi abbiamo il potere di diventare figli di Dio, perché il Verbo si è incarnato e ha posto la sua dimora tra di noi e in noi. Tutto è compiuto: viviamo alla fine dei tempi, in attesa dell’ultima chiamata, del giorno in cui potremo vedere a faccia a faccia ciò per cui siamo vissuti e che abbiamo sperato con fede. La verità, però, già la conosciamo, già è con noi e in noi. Occorre solo ascoltarla e viverla ogni giorno, come il buon Samaritano della parabola. Così ha fatto Gesù con noi nella sua prima venuta, quando era piccolo e indifeso. Affidiamoci completamente al suo amore e alla sua parola.

Copyright testi (C) Federico Cinti 2020 

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domenica 15 novembre 2020

Nella trentatreesima domenica del Tempo Ordinario - Anno A - (Letture: Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1 Ts 5,1-6; Mt 25,14-30)

Cinque, due o un talento: non importa:

il Signore ci chiede di operare

per il Regno. La via spesso è contorta,

e nulla sembra facile da fare.

 

Dà molto frutto la gestione accorta:

il Padrone lo viene a ritirare

dai servi: è gioia vera, gioia assorta

in lui quella in cui Dio può fare entrare

 

quelli fedeli e buoni. Ma chi ha avuto

paura, chi ha nascosto i suoi talenti

sotto terra, chi è stato poco astuto,

 

è solo un servo inutile: i tormenti

lo attendono, nel freddo buio muto,

là dove è pianto e stridore di denti.

 

Casalecchio di Reno (Bologna), 15 novembre 2020


Nella storia della salvezza il Regno è paragonato a un padrone che, prima di partire, convoca i suoi servi e dà loro da amministrare porzioni del suo patrimonio. Conosce benissimo le capacità dei suoi servi e a uno affida cinque talenti, a un altro due e a un terzo uno solo. Non è ingiustizia, quella di Dio, ma riconoscimento della diversità di ognuno: sa di non poter caricare tutti quanti della stessa responsabilità. Esistono, infatti, diversità di carismi e questo rende ognuno utile agli altri. La Chiesa è questo, un soccorrersi vicendevole in nome di colui che si serve e in cui si crede. La celerità con cui il primo servo corre a investire i suoi talenti è encomiabile: gli è stato dato tanto e gli sarà richiesto anche di più. Non lo spaventa, questo; anzi, diviene il motore di uno zelo che lo arde. Riuscirà addirittura a duplicare quanto ha ricevuto e così potrà prendere parte alla gioia del suo padrone, gioia immensa e infinita. Non è facile mettersi all’opera: la paura, la pigrizia, i mille inciampi avrebbero potuto fermarlo. Ma la sua fede e la sua speranza nel padrone lo salvano fino a ricompensarlo. Lo stesso fa il secondo, diverso eppure utile alla costruzione del Regno dei Cieli già in terra, nella Chiesa. Anch’egli otterrà di essere chiamato servo fedele e buono oltre a partecipare della gioia del suo Signore. Il terzo, e non perché abbia ricevuto meno, ma perché appunto è diverso e ragiona in altro modo, è preso dalla paura: il padrone è molto esigente e chiede quel che non ha dato, miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso. Sbagliare è molto più facile di quel che si crede. In questo non obbedisce al suo padrone: non mette a frutto ciò che gli è stato dato, che è il suo, su misura per lui. Il padrone conosce meglio di loro stessi i servi. Non era indurli alla tentazione. Ognuno di noi ha un compito da svolgere. Quel servo sotterra il talento e lo conserva inespresso. Non lo ha sprecato, in senso stretto, ma non gli è valso a nulla e non è valso a nulla nemmeno per coloro che avrebbero potuto trarne giovamento. I talenti sono un bene universale, non un tesoro particolare e riservato. Ecco dunque che cosa gli rimprovera il Signore, di essere un servo inutile, di non aver messo a frutto ciò che aveva a disposizione. La Chiesa ha bisogno di tutti, di nessuno può fare a meno. Chi si sottrae si condanna da solo. Non mostra pentimento, ma quasi accusa il padrone di pretendere troppo da lui e da tutti. Limite umano, questo, che affligge parecchi. Il suo posto è tra le tenebre, dove è pianto e stridore di denti. Se non ci spogliamo di noi stessi fino a dare tutti i nostri talenti, non possiamo prendere parte alla gioia del padrone, alla gioia del nostro Salvatore.

Copyright testi (C) Federico Cinti 2020

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