lunedì 30 aprile 2018

In questo giorno

In questo giorno languido di sole
nella memoria fragile risento
come un brivido in me le tue parole
lievi nel vento,


ti rivedo sorridere felice
nella memoria che non sa scordare,
ti ritrovo così consolatrice
che non mi pare


vero che tu sia adesso oltre la siepe
che ci divide ormai dall'infinito,
oltre quel muro pieno ormai di crepe
tutto sbiadito,


dietro l'ombra d'un nome, come un velo
steso tra qualche fiore profumato
del colore impalpabile del cielo
pacificato


dopo il male del vivere, del cuore
che non trova, non sa trovare pace
nel correre fuggevole delle ore
sempre incapace


di vincere quell'ansia che ci tiene
invisibile, come un logorio,
alla ricerca dell'eterno bene
dopo l'addio.


Casalecchio di Reno (Bologna), 30 aprile 2018

Eppure io ti sento ancora viva, ti sento ancora tra noi, cantare nel nostro coro, Edvige, così solare com'eri, così incredibilmente gioiosa. No, finché ti ricorderemo, finché tornerai a scaldare i nostri cuori col tuo sorriso, tu continuerai a essere con noi, perché la vita vera non è questa che ci è data adesso; no, questo è un anticipo di quello che sarà un giorno, quando potremo essere veramente noi, senza le paure solite, senza le ansie del giorno, senza i limiti che ci vengono dal nostro fragile essere mortale. Noi siamo fatti per altro, siamo fatti per l'eternità. So che mi ascolti e mi leggi e so che sei andata prima di noi. Che altro dirti? Aspettaci.

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Lilium sp., Wikipedia



domenica 29 aprile 2018

Nella V Domenica di Pasqua

Bisogna rimanere nel Signore,
come restano i tralci nella vite
feconda, di cui il Padre è agricoltore,
perché è il Figlio obbediente, umile, mite


l’unica vera vite, nel cui amore
si risanano tutte le ferite
del nostro essere fragile, del cuore
disorientato, delle nostre vite


superficiali: occorre rimanere
in Gesù senza avere più paura
degli altri e di noi stessi per avere


quell’infinita gioia duratura,
quella felicità che fa vedere
già qui la gioia che sarà futura.


Casalecchio di Reno (Bologna), 29 aprile 2018



Una delle parole che più ricorre nella pericope (estratto) evangelica di oggi è senza dubbio il verbo «rimanere», ripetuto per ben sei volte (anzi, potremmo dire sette, se aggiungiamo il versetto del canto al Vangelo). Gesù afferma con forza che bisogna che gli uomini rimangano in lui, come lui in loro, nello stesso rapporto in cui il Padre è con lui che è il Figlio. Per rendere la sua affermazione più efficace e vivificante, usa l'immagine della vite, che già era stata utilizzata nella tradizione veterotestamentaria dai profeti. Il popolo d'Israele era la vigna che Dio aveva piantato e che aveva personalmente curato perché desse molto frutto e frutto buono. Ora Gesù dice di più, perché dice: «Io sono», che è il nome che Dio da di sé sul Sinai a Mosè, «la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore». Per essere veri discepoli di Gesù, che è Dio come il Padre e nel Padre, bisogna rimanere in lui ed essere suoi tralci, a dire in fondo che non c'è altro modo per vivere veramente la vita cristiana se non in un rapporto dinamico tra noi e Gesù e tra noi e noi, intesi come persone. In questo rapporto, poi, si sperimenta fin d'ora la vita eterna del regno di Dio, che non è qualche cosa che dovrà venire e che si otterrà dopo, ma è già realizzata adesso, nel presente, per chi vive con sincerità la parola del Signore. In altre parole, Gesù ci suggerisce il modo più diretto per essere felici adesso, senza se e senza ma, a dispetto di chi pensa che essere cristiani altro non sia che una condizione di rinunce. Insomma, rimanere in Gesù cambia notevolmente, e soprattutto in meglio, la vita, nostra e altrui.

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Verzenay Vineyards, Joe deSousa, Flickr




sabato 28 aprile 2018

Nel dormiveglia

Sento voci inseguirsi di lontano
finché ciascuna scivola, scompare
nel solitario oblio di un sogno vano
senza tempo né luogo, tra le rare


immensità di un infinito piano
sospeso chissà dove, in cui volare
libero da ogni impaccio, a mano a mano
sentirsi in mezzo alle onde galleggiare


tra polvere di luce, in cui sublima
lieve l’antica melodia del vento,
e raggiungere rapido la cima


del monte con in cuore lo spavento
di non esserci più, ma come prima
ora voci confondersi risento.


Casalecchio di Reno (Bologna), 28 aprile 2018


Avevo detto tra me e me che mi sarei sdraiato un attimo, mi sarei steso per quei fatidici dieci minuti per il pisolo postprandiale, come del resto faccio di solito per inveterata abitudine da tempo. Ma la fessura della finestra mi mandava voci lontane, come voci di sogno che si mescolavano a un fluttuare in non so che dimensione. E suoni ovattati si mescolavano tra loro, si fondevano a parole dette non so dove, da non so chi. E mi pareva d'essere sospeso, quasi a fior d'acqua, galleggiando in non so più che dimensione, se reale o immaginaria. E lo spazio si dilatava all'infinito intorno e sopra di me, e il tempo non esisteva più, perché era un eterno presente. Un torpore strano, ma molto piacevole, m'avvolgeva, un tepore insolito e gradevole m'abbracciava. E stavo bene, molto bene, vedendomi quasi dall'esterno. Poi uno squillo più intenso, il telefono che suonava dalla stanza vicina, mi ha riportato d'un tratto alla realtà, sono ritornato vigile da un viaggio onirico che mi piace definire dormiveglia.

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Cumulus con above Brienzersee.JPG, Wikipedia




giovedì 26 aprile 2018

In questo tempo di Pasqua

In questo giorno allagato di sole
per l’aria lieve della primavera
lontane in me risuonano parole
d’un’altra età, di quello che non c’era,

eco quasi di quello che si vuole
come segno di pace, pace vera,
tra la fuga del tempo, tra la mole
degli impegni in attesa della sera,


in questo giorno che è così irrequieto
al di fuori di me per un momento
provo a indagarne attonito il segreto,


ascoltando la musica del vento
e leggo versi altrui, me li ripeto,
tutto preso da un panico spavento.


Casalecchio di Reno (Bologna), 26 aprile 2018


Eppure la sapevo, la sapevo tutta questa poesia di Alessandro Manzoni, "La risurrezione", perché già alle scuole elementari la maestra ce l'aveva fatta mandare a memoria. Certo, non tutta, perché è molto lunga e difficile per un bambino di nove o dieci anni; certo, solo alcune strofe avevamo imparato, solo cinque strofe su sedici. Erano queste, le ho scolpite nella mente come sulla pietra:

È risorto: il capo santo
Più non posa nel sudario;
È risorto: dall'un canto
Dell'avello solitario
Sta il coperchio rovesciato:

Come un forte inebbriato
Il Signor si risvegliò.

Come a mezzo del cammino,
Riposato alla foresta,

Si risente il pellegrino,
E si scote dalla testa
Una foglia inaridita,
Che, dal ramo dipartita,

Lenta lenta vi risté:

Tale il marmo inoperoso,
Che premea l'arca scavata
Gittò via quel Vigoroso,
Quando l'anima tornata
Dalla squallida vallea,
Al Divino che tacea:
Sorgi, disse, io son con Te.

[...]

Era l'alba; e, molli il viso,
Maddalena e l'altre donne
Fean lamento sull'Ucciso;
Ecco tutta di Sionne
Si commosse la pendice,
E la scolta insultatrice
Di spavento tramortì.

Un estranio giovinetto
Si posò sul monumento:
Era folgore l'aspetto,
Era neve il vestimento:
Alla mesta che 'l richiese
Diè risposta quel cortese:
È risorto; non è qui.

La sapevo tutta, perché poi non mi sono accontentato delle strofe che la maestra Bruna ci aveva assegnato, ma ho continuato, ho continuato a studiarla. E mi piace pure parecchio, checché se ne dica degli "Inni sacri" di Manzoni. Il metro, l'ottonario, è molto musicale, al limite del cantilenante, ed è proprio un effetto che si vuole ottenere, l'effetto dell'inno che entra profondamente nell'animo. Forse è il tempo di una nuova innografia, forse è il tempo di ripensare i testi liturgici e paraliturgici. Manzoni in questo è stato un pioniere. Io m'accodo volentieri, perché non esiste una poesia religiosa come categoria letteraria: se è poesia, tale è e rimane. La distinzione è data dai detrattori della religione, credo. Ma non è questo il luogo di sterili polemiche.

Copyright testi e video (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Ritratto di Alessandro Manzoni, Francesco Hayez, Pinacoteca di Brera.

mercoledì 25 aprile 2018

Tutti noi celebriamo la tua festa

Tutti noi celebriamo la tua festa,
Marco, lieti nel cuore e molto grati,
ricordando il tuo zelo per la Chiesa
santa di Cristo.

Sull’esempio materno segui Pietro

venerandolo fervido d’amore
e cogli ciò che ha attinto dalle labbra
proprio di Cristo.

Acceso dallo Spirito, dischiudi

nel tuo libretto i segni del Maestro
sommo e racconti poi con che discorsi
istruisca il mondo.

Caro anche a Paolo, ne imiti gli ardori

del cuore con impegno, t’affatichi,
soffri molto per Cristo e con amore
effondi il sangue.

A Cristo lode, onore, virtù e gloria!

possiamo diventarne testimoni
e, nutriti dal tuo cibo, in eterno
vederne il volto.
Amen.



MÉNTIBUS LAETIS TUA FESTA, MARCE

Méntibus laetis tua festa, Marce,
atque pergrátis celebrámus omnes,
magna qui Christi tribuísse plebi
te memorámus.

Matris exémplis, vénerans amóre
férvido Petrum, séqueris fidélis,
verba de Christi lábiis ab ipso
hausta recóndis.

Spíritu accénsus, módico libéllo
mira tu summi réseras Magístri
gesta, tu narras quibus et loquélis
ínstruat orbem.

Carus et Paulo, studiósus eius
cordis ardóres ímitans, labóras,
multa pro Iesu páteris, cruórem
fundis amánter.

Laus, honor Christo, decus atque virtus,
cuius et testes valeámus esse,
ac, tuis escis recreáti, in aevum
cérnere vultum.
Amen.

Casalecchio di Reno (Bologna), 25 aprile 2018




In questo giorno di primavera, che quest'anno è così calda e luminosa, la Chiesa ricorda il martirio di Marco, l'Evangelista: è una festa grande e solenne, che ci riporta direttamente agli inizi della storia della nostra salvezza, perché il suo Vangelo è probabilmente il primo a essere stato scritto tra i quattro. Marco è stato un collaboratore del principe degli Apostoli, di Simon Pietro. Anche l'inno delle lodi mattutine e dei vespri, che ripropongo in una mia traduzione, ricorda che il nostro è stato caro a Paolo e poi da Pietro ha colto ogni parola che l'Apostolo ha attinto dalle labbra di Gesù. Quest'inno è poi particolare, per il metro, dato che è in strofe saffiche minori (un metro ovviamente risalente alla poetessa Saffo, ma usato anche da Catullo e Orazio e passato nella tradizione occidentale come metro lirico di grande caratura lirica anche nella poesia italiana), oltre che per il contenuto: ricorda, infatti, che il Vangelo di Marco è il più breve ("modicus libellus"), ricorda anche il suo grande impegno a fianco del collegio apostolico e il suo martirio, l'effusione del sangue. Certo, ci sarebbe anche un altro inno, quello per l'ufficio delle letture, ma non è soltanto per Marco, ma per gli Evangelisti in generale (quanto meno per Luca, che è l'altro Evangelista non Apostolo), composto nel metro solito degli inni, e dico solito per intendere quello più frequente, ossia il dimetro giambico. Prima o poi tradurrò anche quello. Ultimamente, infatti, vivo la traduzione degli inni della liturgia delle ore come una sorta di esercizio spirituale. E, allora, buona festa di san Marco Evangelista!


Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: San Marco (dettaglio), mosaico nella Basilica di San Vitale, Ravenna

lunedì 23 aprile 2018

Nella quarta domenica di Pasqua

La voce del pastore rassicura
ogni singola pecora del gregge,
la guida per l'incerta valle oscura,
la sostiene, la nutre, la protegge,


le dà coraggio, quando è malsicura,
la custodisce sempre, la sorregge
se si trova in pericolo, la cura
nella sua malattia, la rialza e regge,


perché il pastore buono dà la vita
per il suo gregge, non sa darsi cuore
se non trova la pecora smarrita,


perché al mondo c'è un unico pastore
per questa umanità così svilita
alle volte, Gesù, nostro Signore.


Casalecchio di Reno (Bologna), 22 aprile 2018




La quarta domenica del tempo di Pasqua è dedicata al "buon pastore". Certo, come faceva notare il mio amico don Francesco, con cui stiamo leggendo il Quarto Vangelo alla parrocchia del Fossolo di Bologna, il martedì sera, nella mitica sala Bologna, il testo originale dice il "bel pastore", nel senso di valente, di grande qualità, un po' - "si parva licet" - come si dice di un giocatore che è "un bel giocatore". Ecco, Gesù dice di sé: "Io sono il buon pastore". E "Io sono" è proprio il nome che Dio dà di se stesso a Mosè sul Sinai: nel quarto Vangelo Gesù lo ripete molte volte a sottolineare proprio la sua divinità. E ancora il "buon pastore" dice che "dà la vita per le pecore" e sempre don Francesco faceva notare che il testo originale dice che "dà l'anima" (anche il latino del resto traduce correttamente). Insomma, è un pastore che si spende tutto per il gregge, che è un unico gregge, un gregge grande come il mondo, perché egli è il pastore universale. Dice anche di più Gesù: dice che è la porta del recinto e chi vuole entrare o uscire deve necessariamente passare attraverso di lui. Quest'immagine mi ha sempre colpito, perché tutto passa attraverso il Signore, che è creatore del mondo, "per mezzo di lui tutte le cose sono state create". Oh, nella storia molti sono stati coloro che hanno cercato di ergersi a pastori, ma uno solo è il pastore, come uno solo è il gregge. Il Vangelo è molto chiaro. E c'è da sperare che molti siano coloro che, sulla scorta del "buon pastore", vogliano offrire la propria vita al servizio del gregge, come operai della messe. Per questo nella quarta domenica di Pasqua si celebra la giornata delle vocazioni sacerdotali. Insomma, è proprio una grande festa quella di oggi.

Copyright (C),Federico Cinti 2018
Immagine: Gesù, il buon pastore. Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna.


venerdì 20 aprile 2018

Rientro a casa

Sospeso in una bolla di sapone
dentro un mare di bianco tutt’intorno
tra mille voci ignote di persone
ben al di là del solito contorno


del quotidiano, senza più ritorno
d’echi lontani, di carezze buone
come al risveglio, sul fare del giorno,
quando rinasce in cuore l’emozione


di ritrovarsi ancora, un’altra volta,
con indosso di nuovo la mattina
fresca che ti sussurra, che t’ascolta,


mi sentivo sospeso, e la collina,
quasi in un sogno languido sepolta,
poi Bologna in un attimo vicina.


Casalecchio di Reno (Bologna), 20 aprile 2018



Mi pare che sia trascorso più d'un secolo e invece sono solo otto giorni, otto lunghi giorni passati in una strana sospensione, dove il tempo non sembra scorrere più, eppure... eppure è scandito da riti e da orari propri. Non so, è stato come trovarsi catapultato in un'altra dimensione il primo giorno, il momento della confusione e della bufera. Già, perché la sensazione era quella di trovarmi in un mare in tempesta, sballottato di qua e di là, in balia degli eventi e delle decisioni altrui, dato che io mi sentivo pressoché impotente. E poi l'incoscienza, il deliquio. Mi trovavo immerso dentro un mare di bianco, come dentro una nuvola di sogno. Eppure il tempo trascorreva, in qualche modo, eppure i giorni andavano con esso, e io mi sentivo sempre meglio, e venivano a trovarmi gli amici, raccontandomi che fuori dalla finestra c'era una bella stagione calda, molto calda, perché la primavera era venuta tutta in una volta. E mi descrivevano che cosa si vedesse dalla finestra: «E quelle sono le due Torri, e poi c'è San Petronio con un'altra cupola, che non si capisce, forse la chiesa di San Francesco, e poi lo Stadio, il Dall'Ara, con la Torre di Maratona, e su tutto la mistica dolcezza di San Luca». E io correvo con la fantasia, correvo tra i palazzi e tra le chiese che conosco, conosco così bene. E la mamma era sempre lì, veniva tutti i giorni, e così mio fratello, e gli amici più cari. Oggi, che mi dimettevano, l'amico Marco mi ha riportato a casa e non mi è mai sembrato così bello rientrare a casa, non mi è mai parso così dolce ritrovare tutto come l'avevo lasciato, dopo essere stato in ospedale.

Copyright testi e foto (C) Federico Cinti 2018

domenica 15 aprile 2018

Nella III domenica di Pasqua

E mentre i due discepoli tornati
da Emmaus narrano, pieni di fervore,
i fatti a loro appena capitati,
appare nel Cenacolo il Signore

agli Undici e ai fratelli radunati
assieme a loro in unità di cuore
e così, dopo averli salutati,
nota nei loro volti lo stupore

di chi non sa se credere davvero,
ma quando mostra loro ogni ferita
sulle mani e sui piedi, ecco che il vero

si svela ai loro occhi, ecco infinita
una gioia li colma, ecco il Mistero
dà senso allo sconforto della vita.

Casalecchio di Reno (Bologna), 22 aprile 2018



I due discepoli che vanno a Emmaus riconoscono il Signore allo spezzare del pane; poi, pieni di gioia incontenibile nel cuore, tornano a Gerusalemme di corsa per raccontare agli apostoli e ai fratelli che era apparso loro il Signore. E proprio durante quel racconto Gesù risorto appare, sta in mezzo a loro e li saluta: «Pace a voi!». All'inizio sembra un fantasma e tutti stentano a riconoscerlo, forse perché è difficile per noi come anche per gli Apostoli accettare che Dio è più grande di tutto e di tutti. Poi, al riconoscerlo dalle piaghe sulle mani, sui piedi e nel costato, dopo averlo visto mangiare un po' di pesce arrostito, lo stesso che stanno mangiando, allora il cuore si riempie di una gioia talmente grande che nulla la può contenere e tutti credono, credono che la morte è stata sconfitta, che l'impossibile è avvenuto davanti ai loro occhi. Del resto, è un percorso che ognuno di noi compie, è il Mistero che ci si svela a poco a poco, quando meno ce l'aspettiamo, come davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni si era trasfigurato sul monte, forse il Tabor, accanto a Mosè ed Elia. Forse bisogna essere pronti a lasciarsi stupire dalla vera realtà delle cose e allora in modo autentico Gesù sarà l'Emmanuele, il «Dio con noi», come nel passo evangelico di questa terza domenica di Pasqua.

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Caravaggio, Cena in Emmaus, National Gallery, Londra, 1601






mercoledì 11 aprile 2018

Piove il mercoledì

Ascolto di lontano un pianoforte
arpeggiare infinite onde sonore
all’orlo della stanza, sulle porte
d’un labile aldiquà quasi incolore,


ascolto, tra le sillabe contorte
del solito indicibile rumore
del pomeriggio, tra le cose smorte
intorno, senza vita, senza cuore,


e ascolto, ascolto, mentre fuori piove
non so che pianto questo giorno strano
su cose vecchie ormai, su cose nuove,


libero dal fluire quotidiano
nel mare immenso, nell’immenso altrove
dell’essere per essere lontano.


Casalecchio di Reno (Bologna), 11 aprile 2018



Nel cercare un antidoto efficace al trito pomeriggio di metà settimana, di un mercoledì come gli altri in cui piove... certo, perché debba piovere sempre di mercoledì da Marino Moretti in poi io devo ancora capirlo. Eppure quella poesia, "A Cesena", bellissima, in terzine ceccane (checché io ne sappia, Moretti dopo Pascoli è l'unico a usarla dopo Cecco: non è male, no? Ma parlare di metrica, oggi, è sempre rischioso, oggi dico che nessun poeta vuole regole, almeno a parole) ha fatto scuola. Eh, Marino Moretti, il grande poeta di Cesenatico, con quella poesia: "Piove. È mercoledì. Sono a Cesena, / ospite della mia sorella sposa, / sposa da sei, da sette mesi appena" ("A Cesena", 1-3). Insomma, è cupo che intristisce l'anima, mentre il calendario sostiene risoluto che è primavera, accidenti: primavera! Non si fa così, non si fa che, dopo alcuni giorni di tempore, tutto ripiombi nell'inverno impalpabile, quello che rimane addosso come un vestito, tanto è umido e insopportabile. anche parlare del tempo è insopportabile, ma che si deve fare per distrarsi un po', oggi che piove e che è mercoledì? Appunto, mercoledì, quello di Cesena, della sorella sposa da poco, da sei mesi appena. E noi che stiamo a Bologna? No, no: ci vuole un antidoto che salvi dalla malinconia d'un giorno inerte. E allora mi sono messo ad ascoltare J.S. Bach, il "Clavicembalo bentemperato" e la mia immaginazione ha cominciato a volare fino a raggiungere l'infinito. E ora mi sento libero... dalla pioggia, dalla malinconia, da tutto quanto.

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Piazza Maggiore, Bologna, foto di V.N.

lunedì 9 aprile 2018

Annunciazione del Signore, alle Lodi mattutine

O LUCE DI SALVEZZA,

O luce di salvezza,
con te l'angelo porta
la parola alla Vergine
che rinnova la Terra.

Chi nasce quale eterno
Figlio d'eterno Padre,
soggetto adesso al tempo,
sceglie una madre umana.

La vittima espiatrice
si lega al nostro corpo
per sciogliere le colpe
col sangue suo innocente.

Verità fatta carne
all’ombra della Vergine
perché i puri ti vedano,
della tua luce riempici.

E tu che umile dici
son La serva di Dio,
ora regina in cielo
proteggi i tuoi fedeli.

Gesù, a te gloria, nato
da madre sempre vergine,
al Padre e al santo Spirito
per i secoli eterni.
Amen.




O LUX, SALÚTIS NÚNTIA

O lux, salútis núntia,
qua Vírgini fert Angelus
complénda mox orácula
et cara terris gáudia.

Qui Patris aetérno sinu
aetérna Proles náscitur,
obnóxius fit témpori
matrémque in orbe séligit.

Nobis piándis víctima
nostros se in artus cólligit,
ut innocénti sánguine
scelus nocéntum díluat.

Concépta carne Véritas,
umbráta velo Vírginis,
puris vidénda méntibus,
imple tuo nos lúmine.

Et quæ modésto péctore
te dicis ancíllam Dei,
regína nunc caeléstium,
patróna sis fidélium.

Iesu, tibi sit glória,
qui natus es de Vírgine,
cum Patre et almo Spíritu,
in sempitérna saecula.
Amen.


Oggi, che è il 9 aprile, la Chiesa recupera la solennità dell'Annunciazione del Signore, che sarebbe il 25 marzo. Quest'anno avrebbe finito per coincidere con la Domenica delle Palme e allora si è reso opportuno lo slittamento, diciamo così. del resto, come non si può non festeggiare per questo fatto grandioso della storia della salvezza degli uomini? L'arcangelo Gabriele raggiunge Maria, una giovane di Nazareth, e le annunzia che sarà la madre del Salvatore del mondo. Ha dell'incredibile, certo; ma, come scriveva Tertulliano, «credo quia absurdum»! C'è proprio da stupire e da gioire per la pietà che Dio ha avuto per noi. Trovo sempre negli inni liturgici delle ore tesori di inestimabile bellezza per cantare i misteri della nostra vita cristiana, da affiancare ovviamente alla lettura delle Sacre Scritture. Per questo ho tradotto l'inno delle lodi mattutine e lo propongo alla lettura. Ci tengo anche a dire che la traduzione di un testo non è mai operazione meccanica. Dal momento che qualche cosa si perde sempre, ho provato a usare un metro che in qualche modo s'avvicinasse al ritmo dell'originale, pur nella consapevolezza che il testo finale sarebbe stato comunque qualche cosa di diverso e di autonomo. In altre occasioni avevo tentato con l'endecasillabo, mentre in questa provo con il settenario. Vivo queste traduzioni come un vero e proprio esercizio spirituale.

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Federico Barocci, Annunciazione, S. Maria degli Angeli, Assisi


domenica 8 aprile 2018

Nella Seconda Domenica di Pasqua

E gli Apostoli accolgono il Signore
la sera di quel giorno in cui è risorto
a vita nuova, pieni di stupore,
di gioia vera, con il cuore assorto


nel mistero di Dio, senza timore
che tutto sia finito, ormai contorto
tra le illusioni solite del cuore
d’un mondo inerte, tenebroso, smorto.


Tommaso è fuori, ascolta, ma non crede
che davvero Gesù possa tornare,
perché dice che crede a quel che vede;


poi il Signore pietoso gli riappare
dopo otto giorni e solo allora ha fede
nella luce che viene a illuminare.


Casalecchio di Reno (Bologna), 8 aprile 2018


Come è bello e come è pieno il saluto del Risorto agli Apostoli: «Pace a voi!». Non è un semplice augurio di essere in tranquillità, ma quello di superare tutti i conflitti interiori o esteriori in lui, proprio in Gesù, che è la pace. E compare nel cenacolo agli Apostoli ancora là, timorosi, inquieti, appunto senza pace. Sono tutti riuniti e tutti godono di nuovo di quel maestro che tanto hanno amato e onorato; sono tutti là, tranne Tommaso, detto Didimo. Certo, mi sono sempre domandato dove fosse in quel momento così particolare e anche perché non credesse alle parole dei suoi fratelli nella fede. Non so, Tommaso lo sento molto vicino, mi sento molto io come Tommaso. Eppure il Signore lo sa, eppure il Signore fa in modo di incontrarlo, di fugare ogni suo dubbio, di dargli certezze. In quest'episodio trovo il desiderio di Gesù di raggiungere tutti, anche quelli che per qualche motivo dicono di non credere. E Gesù, che è la luce, li illumina. Certo, Tommaso fa una professione di fede commovente: «Mio signore e mio Dio!». Ma è ciò che non si può che riconoscere nella verità oggettiva delle cose, quando s'incontra quel che da senso al tutto. Anche Tommaso, poi, non aveva visto Gesù e non aveva creduto, ma è condizione normale fidarsi solo di se stessi. Quando siamo disposti a fidarci anche degli altri, ecco, allora possiamo aprirci a Dio e al prossimo e allora diventiamo credenti veri e soddisfatti. Per questo Tommaso mi pare un personaggio molto positivo, perché è l'uomo alla ricerca che, alla fine, trova. In duemila anni di era cristiana la storia si ripete spesso. Ed erano otto giorni dopo la Pasqua di Resurrezione, quella che di solito chiamiamo "Domninica in albis" in ricordo dei catecumeni, battezzati la notte di Pasqua, che deponevano le loro vesti bianche proprio in quell'occasione.


Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Duccio di Buoninsegna, L'incredulità di San TommasoMaestà, Altarretabel des Sieneser Doms, Rückseite, Altarbekrönung mit Pfingstzyklus, Szene: Der ungläubige Thomas

venerdì 6 aprile 2018

Venendo da Villa Ghillini

E il cuore ti s’allaga di stupore
dopo la curva, dove l’occhio beve
allargandosi il limpido bagliore
del cielo aperto in una gioia breve,

mentre in una cascata di colore
ti senti per un attimo più lieve,
libero già dal solito grigiore
quotidiano di un mondo troppo greve

per volare lontano, oltre la fuga
della materia fredda, e passa intanto
su questa via, più simile a una ruga

inveterata, il silenzioso incanto
che ti scioglie dall’attimo, ti fruga
l’ansia d’ogni rimorso, ogni rimpianto.

Casalecchio di Reno (Bologna), 6 aprile 2018


Sì, è vero, diciamolo una volta per tutte, e a chiare lettere per giunta, che la poesia aiuta a vivere, anche se molti oggi preferiscono la prosa. Già, la prosa... prima o poi dovrò ragionarci un po' sopra, perché non è possibile che davanti al rifiorire della natura, come in questi giorni primaverili, non vengano alla mente gli eterni versi leopardiani:

«Primavera d'intorno / brilla nell'aria e per li campi esulta, / sì ch'a mirarla intenerisce il core» ("Il passero solitario", 5-7).

Beh, è poi un gioco di specchi, perché anche il buon Leopardi citava già Dante, il poeta che nel "Purgatorio" raggiunge vette inenarrabili di poesia:

«Era già l'ora che volge 'l disio / ai navicanti e 'ntenerisce 'l core / lo dì ch'han detto a' dolci amici addio» (Purg. VIII 1-3).

Ecco, un po' come oggi quando, andando verso Casalecchio da Bologna, Giacomo mi manda alcune foto e mi dice: "Hai mai pensato di scrivere qualche cosa su Villa Ghillini"? E io gli dico che sì, ci avevo pensato, eccome se ci avevo pensato, perché è uno spettacolo, ora solo della mia memoria è vero, ma pur sempre fascinoso come solo i ricordi sanno essere. Ci avevo pensato, perché è troppo bello quell'angolo incantato di Casalecchio! Mi ha sempre impressionato, passando da lì, che a un certo punto la vista si allarga a una valle quasi infinita dove adesso sono mille case, ma chi sta sopra vede tutto dall'alto, come fosse in volo... eh, come fosse quel passero solitario di cui cantava l'altro Giacomo. Ma le coincidenze mi sa che esistano solo in stazione, e poi e poi. Insomma, bisogna fermarsi a riflettere sui luoghi del cuore, su quel che ci sta intorno e che percepiamo più con l'anima che con le orecchie o gli occhi. Del resto, come sono solito dire, non si vede con gli occhi...


Copyright (C) Federico Cinti 2018
Foto di G.V.

mercoledì 4 aprile 2018

Fra Diavolo per Hiram

Tutto è lì, come sempre, come allora,
tra le anonime case stonacate
dove abitavi, dove abiti ancora
dietro le tapparelle un po’ abbassate,


tutto è lì, e questo fatto mi rincuora,
dopo le mille cose trapassate
nell’ansia della vita che divora
l’attimo, è lì, come ogni calda estate


trascorsa tra le chiacchiere, a cantare
quell’aria di fra Diavolo per via
per divertirci, per dimenticare


non so che cosa, ammesso che ci sia
qualcosa da rimpiangere o scordare,
amico mio, per noia o nostalgia.


Casalecchio di Reno (Bologna), 4 aprile 2018



Eppure è da qualche giorno che canto e ricanto la famosa aria di "Fra diavolo", quella del film di Stanlio e Ollio del 1933, il film visto e rivisto fino a conoscerlo a memoria, quello che si basava sull'omonima opéra-comique di Daniel Auber del 1830. In particolare ha per me il sapore della madeleine proustiana, perché un'estate avevamo preso l'abitudine di cantarla, la sera, io e il mio amico d'infanzia Hiram. In verità ero io che la cantavo e amavo fermarmi prima dell'acuto, anche perché prendevo il tono sempre troppo alto e mi sembrava di strozzarmi. E Hiram, come il più scafato degli impresari, m'incitava a esibirmi e io ricominciavo. Ecco il testo della famosa aria:

Quell'uom dal fiero aspetto
guardate sul cammino
lo stocco ed il moschetto
ha sempre a lui vicin.


Guardate un fiocco rosso
ei porta sul cappello
e di velluto indosso
ricchissimo mantel.


Tremate!
Fin dal sentiero del tuono
dall'eco viene il suono
"Diavolo, Diavolo, Diavolo."
Tremate!
Fin dal sentiero del tuono
dall'eco viene il suono
"Diavolo, Diavolo, Diavolo."


Eh, caro Hiram, ma è proprio tutto come allora? Ci passo e ci ripasso per la tua strada, so che tu abiti ancora lì, ma non so se a essere cambiati siamo solo noi. Oppure solo noi siamo rimasti uguali a quelli di tanti anni fa, che s'incontrarono all'asilo e che ridevano per una parola che non ricordiamo più? Eravate venuti in visita all'asilo di via Canonica, quello che io chiamavo l'asilo vecchio, dopo che venni nel tuo in via Caravaggio, anche se tu non c'eri già più, anche se tu eri già al di là della rete, eri alle elementari, in quell'edificio che non riesco ancora a capire, brutto come sono molti edifici in periferia. Ero un purista già da bambino e mi chiedevo perché una scuola dovesse avere la forma del tendone d'un circo. Inspiegabile, veramente inspiegabile per me, allora, come del resto adesso. Ma la gente continua a non darmi retta.
Ogni tanto parliamo di quegli anni il Faemo e io, quando mi scarrozza di qua e di là col suo taxi. A me prende quasi un nodo alla gola e non riesco a dire nulla, e non riesco a ricordare nulla, mentre lui sa tutto di tutti. Ma come fa? A me pare quasi sia stato reciso il cordone ombelicale, ma altre strade ho preso. Eppure certe cose mi restano, certe cose sono solo mie. Ecco, quest'aria è solo mia, è solo nostra e non posso certo dimenticarla e anche tu, per favore, non dimenticarla mai.


Copyright testi e video (C) Federico Cinti 2018

lunedì 2 aprile 2018

Lunedì dell'Angelo

Un angelo era lì, sul monumento
dentro cui seppellirono il Signore,
proprio lì, con un bianco vestimento
e in viso un soavissimo colore;


le donne poi, con un prezioso unguento,
giunsero in sul primissimo bagliore
per ungere Gesù, ma uno spavento
le turbò, quasi incredule nel cuore.


Chiesero dove avessero portato
il corpo del Maestro, del Rabbì,
di Gesù Nazareno, giustiziato


in croce, che per gli uomini morì
con somma carità. L’interrogato
rispose loro: «È risorto: non è qui».


Casalecchio di Reno (Bologna), 2 aprile 2018





Nel Lunedì dell'Angelo, che è poi oggi, risuonano forti nella mia memoria, accanto ovviamente al racconto evangelico, un paio di testi. Il primo è quello di una lauda del Laudario di Cortona, che abbiamo cantato anche durante la Veglia di Pasqua e la Domenica di Resurrezione, "Iesu Cristo glorioso". Non so, mi resta addosso, mi entra nel profondo e in un attimo s'annulla la distanza dei secoli. L'ascolto e la riascolto, e mi piace sempre di più. Il secondo testo me lo porto sempre con me, da quando ho otto o nove anni, perché la mia maestra Bruna ce lo fece imparare a memoria: sono due strofe della "Resurrezione" di Manzoni. Ne imparammo di più, anche se non tutto l'inno, che è molto lungo. solo dopo me lo sono studiato per intero e l'ho apprezzato come si conviene ai capolavori. Già, perché per me gli "Inni sacri" restano un capolavoro poetico, checché ne dicano i detrattori più del Cristianesimo che di Manzoni. Insomma, due strofe in particolare narrano dell'angelo che parla con la Maddalena (vv. 57-70)

Era l'alba; e, molli il viso,
Maddalena e l'altre donne
Fean lamento sull'Ucciso;
Ecco tutta di Sionne
Si commosse la pendice,
E la scolta insultatrice
Di spavento tramortì.

Un estranio giovinetto
Si posò sul monumento:
Era folgore l'aspetto,
Era neve il vestimento:
Alla mesta che 'l richiese
Diè risposta quel cortese:
È risorto; non è qui.

Sono versi bellissimi, che porto scolpiti nella memoria. Grazie ancora, maestra, dei bei doni che ci hai fatto.

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Casimiro de Rossi, Angelo al sepolcro di Cristo





Nella prima domenica di Pasqua

Per chi ancora non crede che sia vero
dopo i giorni tremendi della prova
nella sua luce splendida il mistero
è risorto dai morti a vita nuova,


ha spalancato nell’abisso nero
del cupo inferno il cuore che ritrova
nella speranza autentica il sentiero
del senso d’ogni cosa e si rinnova


il lieto annuncio che non è finita
tra i supplizi indicibili di un morto
l’eternità promessa della vita,


perché al di là del limite contorto
d’una ragione umana intorpidita
il Figlio dell’Altissimo è risorto!


Casalecchio di Reno (Bologna), 2 aprile 2018



Nella domenica di Resurrezione, che apre il tempo di Pasqua, ricordiamo «il primo giorno dopo il sabato», quello in cui le tre Marie, le pie donne (mi piace molto chiamarle così), vanno al sepolcro a ungere il corpo di Gesù e non lo trovano. Da quel momento in poi il giorno dopo il sabato diviene «dies Domini», ossia il «giorno del Signore». Grandiosa è la domenica celebrata in ricordo della nostra salvezza. Ecco perché mi è parso molto bello, oltre la Messa, poter condividere con la mia famiglia questo momento. Davvero è stata una giornata impegnativa, in cui si è parlato un po' di tutto, ma soprattutto si è stati insieme a condividere qualche cosa di importante. Davvero è festa, davvero non si può restare da soli. Poi è vero, mia nipote si è addormentata sul divano, ma intanto c'era, era con noi, era lì, finché non è scesa la sera, quel momento naturale in cui tramonta il sole, ma la luce di Cristo, la luce che è Cristo, splende per sempre. Ed è il vero lume della ragione, ed è la vera parola che spiega l'uomo all'uomo. E di questo bisogna essere grati.

Copyright (C) Federico Cinti
Immagine:Peter Von Cornelius, Le Tre Marie al Sepolcro