domenica 24 novembre 2019

Nella Solennità di Cristo Re dell'Universo - Trentaquattresima domenica del tempo ordinario - Anno C - ( Letture: 2 Sam 5, 1-3; Sal 121; Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43)


Sulla croce il Signore è intronizzato.
Tutto è compiuto. I tanti testimoni
vedono che Gesù è stato innalzato
a gloria di Dio in mezzo a due ladroni.

Così salva se stesso chi ha salvato
gli altri da tutti i dubbi, dai demoni
e dalla morte. Cristo si è incarnato
per salvare i cattivi con i buoni.

Un ladrone rimprovera il Signore
di quella sorte che egli ha condiviso
assieme a lui, ma gli ha indurito il cuore.

L'altro chiede pietà. Con un sorriso
gli risponde Gesù pieno d'amore:
«Oggi sarai con me nel Paradiso».

Casalecchio di Reno (Bologna), 24 novembre 2019

Sul Calvario Gesù è messo in croce tra due malfattori, anonimi, ma profondamente diversi tra loro. L’uno rimprovera il Re dell’universo perché non salva se stesso e coloro che sono crocifissi con lui. È il simbolo di quell’umanità che fa fatica a riconoscere nella verità della croce la via della salvezza. Il secondo malfattore capisce, dopo una vita trascorsa nel latrocinio, di essere di fronte al Signore e trova in quello stato la salvezza e la redenzione. Gesù compie un altro miracolo in quell’umanità che, proprio nel dolore, nelle difficoltà, nell’abisso del proprio animo, ritrova la luce. Cristo è luce del mondo, è il buon Pastore che guida il suo gregge dalle tenebre alla luce. Ecco perché sulla croce, sul patibolo più tremendo, Cristo viene intronizzato come Re dell’universo, Rex universorum, di tutte le cose nei cieli, sulla terra e sotto terra. Ogni cosa si piega davanti a lui, perché non ha tenuto la sua uguaglianza con Dio Padre come se fosse una rapina, un tesoro geloso, ma come un dono da condividere con tutti gli uomini. Questa è la regalità vera. Nulla è perduto nella morte, ma tutto è guadagnato col sacrificio che altro non è se un passaggio, un transito dalla realtà imperfetta del mondo alla realtà perfetta di Dio. Così è giusto che venga dedicata una domenica dell’anno liturgico alla regalità di Cristo: Pio XI l’aveva fissata all’ultima domenica di ottobre, la riforma postconciliare l’ha posta come ultima domenica, perché sempre fosse fisso nel cuore di tutti che non vi è altra via se non questa per raggiungere la perfezione: l’accettazione della propria condizione umana, qualsiasi essa sia. È la croce che dalla terra innalza al cielo, che allarga le sue braccia fino ai confini dell’universo. Tutto il resto è vana chiacchiera. Cristo non è morto invano: Cristo regna come primogenito dei morti, come agnello immolato, come Figlio di Dio e fratello degli uomini.
Copyright testi (C) Federico Cinti 2019  
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domenica 17 novembre 2019

Nella trentatreesima domenica del tempo ordinario - Anno C - ( Letture: Ml 3, 19-20; Sal 97; 2 Ts 3, 7-12; Lc 21, 5-19)


Tutto quello che l’uomo ha edificato
passerà. Inizieranno carestie,
guerre, sconvolgimenti. In questo stato
di cose in ogni luogo, per le vie,

nelle case, nel cuore contristato,
perpetreranno inutili follie
contro i santi di Dio. Sarà mutato
il nome di Gesù in ideologie.

I giusti patiranno un tribunale
iniquo: ci sarà persecuzione
per loro e ogni altro genere di male.

Cristo li salverà: la devozione
nel suo nome sarà il segno finale,
eterno della sua liberazione.

Casalecchio di Reno (Bologna), 17 novembre 2019

Siamo già stati avvertiti su quelli che saranno i segni dei novissimi, del tempo finale, in cui il principe di questo mondo scatenerà il proprio livore contro i giusti, fino a traviarne purtroppo molti. Gesù ci ha avvisati, perché noi fossimo pronti, perché non ci lasciassimo abbagliare dai falsi profeti, che oggi vestono il nome di ideologie e di promesse di benessere o eternità. Il tempio di Gerusalemme, opera magnifica del tempo del Signore, è stato effettivamente distrutto: non è rimasto che il muro del pianto e la spianata su cui s’ergeva maestoso. Tutto ciò che non è eterno è destinato a passare, anche se intimamente siamo afflitti per la perdita della bellezza che abbiamo costruito e a cui ci siamo lentamente assuefatti. Eppure, la bellezza vera viene solo dal Signore ed è lo splendore della verità. Le costruzioni degli uomini sono fallaci, ma la liberazione passa attraverso la professione della verità, perché è Gesù stesso la verità. I segni di cui egli parla ci servono non per avvilirci, ma per tenerci pronti, per non cadere in via, sulla via larga che porta all’inferno e alla dannazione eterna. Il tempo si è fatto breve, vi è un’urgenza continua, come per gli Ebrei prigionieri nel Paese d’Egitto: dovevano essere pronti a fuggire da quello stato miserevole verso la salvezza, passando attraverso il Mar Rosso e il lavacro di ogni loro impurità. Ciò che era impossibile agli uomini, divenne possibile a Dio, che li guidava con una colonna di fuoco. Anche noi dobbiamo essere pronti ad abbandonare lo stato di cose in cui ci sembra di stare fin troppo bene per prepararci all’ora che viene, perché sempre dobbiamo combattere la buona battaglia e conservare la fede in Gesù, unica via di salvezza verso la vita vera. 
Copyright testi (C) Federico Cinti 2019  
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domenica 10 novembre 2019

Nella trentaduesima domenica del tempo ordinario - Anno C - ( Letture: 2 Mac 7, 1-2. 9-14; Sal 16; 2 Ts 2,16-3,5; Lc 20, 27-38 )


Dio è la vita del mondo, è la sua sorte:
l’universo in lui trova compimento.
In Dio è il senso più autentico, più forte
dell’essere qui e ora, ogni momento.

La vita non si annulla nella morte,
altrimenti ogni cosa è un vano evento.
In Dio è la vita che apre le sue porte
oltre la croce al cuore che ha redento.

È al di là del presente che la storia
raggiungerà la propria perfezione
nell’eterno Mistero della gloria.

In noi vive Gesù: nella sua azione
salvifica è la gioia, è la memoria
in eterno di tutte le persone.

Casalecchio di Reno (Bologna), 10 novembre 2019
In un’epoca in cui si vive il presente senza consapevolezza del passato e senza speranza nel futuro, la domanda dei Sadducei è quanto mai attuale, al di là ovviamente dell’insidia che vogliono tendere a Gesù, sempre ammesso che quella questione non fosse oggetto di discussione reale tra di loro. I Sadducei pongono una domanda radicale, ossia chiedono che cosa ci sia dopo la morte. I nostri sensi e la nostra ragione non sono in grado di dare una risposta convincente e consolante, se non il nulla, la fine di tutto. Oggi è ancora così, oggi che si vive in una pretesa d’eternità immanente, salvo temere la morte nel tentativo di cancellarla in ogni modo assieme alla sofferenza e al sofferente. Ma Gesù ricorda di essere il Dio dei viventi, secondo la rivelazione sull’Oreb a Mosè. Dal roveto ardente la voce del Signore afferma: «Io sono il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe». I Patriarchi vivono in lui e per lui. Gesù dimostra nei fatti, non solo con le parole, di essere la vita del mondo, attraversando da vincitore la morte per risorgere alla vita nuova, alla vita vera. Ecco perché già qui inizia il regno di Dio, perché la vita di chi segue il Risorto è già vita vera, vita nuova, che troverà il suo compimento dopo il passaggio dalla morte corporale all’eternità spirituale. Del resto, quando diciamo che Dio è creatore non diciamo che Dio «ha creato», ma che «crea» adesso e per sempre. Come dice anche il Salmo, «togli loro la vita, muoiono», perché il Signore è la vita e la creazione continua del mondo: se smettesse anche solo per un attimo di creare, l’universo intero non esisterebbe più. In tale prospettiva, l’ansia di conoscenza dei Sadducei è soddisfatta: se non ci fidiamo e affidiamo alla rivelazione di Gesù, non abbiamo già qui la vita vera. Ecco da dove nasce la disperazione del mondo contemporaneo: vive nella paura della morte, non muore nella speranza della vita. Ma Gesù è più grande di ogni timore e salva chi si rifugia in lui. Questa è la nostra fede e ci gloriamo di professarla nel nome del Risorto che altro non è se non il Vivente.

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