martedì 28 maggio 2019

Uno squarcio d'azzurro

Nel pallore del sole oggi traspare
timida una speranza. Umido è il giorno
dopo il continuo piovere. Pesante
è l’aria. Addosso

la fatica del tempo ormai trascorso
e di quello che ancora ha da venire.
Tra il grigio delle nuvole uno squarcio
ride d’azzurro.

Casalecchio di Reno (Bologna), 28 maggio 2019
In questo strano maggio dai giorni di pioggia senza fine, un raggio di sole tra le nuvole a mostrare l’azzurro è un dono, una speranza che ripullula nel cuore. Non c’è giorno così cupo, così nero che non serbi un barlume di luce chiara. Ed è sempre così, metafora di una condizione che si ripete davanti agli occhi di chi sa leggere i segni della realtà. Non tutto può essere colto a livello razionale, checché ne dica qualcuno. Occorre affidarsi senza remore al fluire incessante e non smettere mai di stupirsi, perché nello stupore sta l’espressione vera del nostro desiderio di abbracciare compiutamente il nostro mondo esteriore e quello interiore. Uno squarcio d’azzurro rende speciale, quindi, pure un giorno di plumbeo madore a ricordare che ogni aspetto della vita è degno di essere vissuto in pienezza.
Copyright testi(C) Federico Cinti 2019
Immagine:
raggi del sole che passano attraverso le nuvole durante il giorno - 
                    Photo by Charles Ray on Unsplash


domenica 26 maggio 2019

Nella sesta domenica di Pasqua - Anno C - (Letture: At 15, 1-2. 22-29; Sal 66; Ap 21, 10-14. 22-23; Gv 14, 23-29)


Chi ascolta la parola del Signore
ascolta il Padre che qui l’ha mandato,
così che viva nell’eterno amore
senza paura, senza più peccato,

e non dovrà nutrire alcun timore
ora che il Figlio al Padre è ritornato,
perché abbiamo tra noi il Consolatore,
lo Spirito che Cristo ci ha donato.

Gesù ci dà la pace, la sua pace,
non come la dà il mondo la dà a noi,
perché ognuno sia sempre più capace

d’essere come lui, fin quando poi,
come è giusto che sia, come gli piace,
ci vorrà in paradiso assieme ai suoi.

Casalecchio di Reno (Bologna), 26 maggio 2019
 Non si resta mai da soli, anche adesso che Gesù è ritornato al Padre, come aveva predetto ai suoi discepoli, perché ci manda il Paraclito, il Consolatore, lo Spirito che ci aiuta a superare le difficoltà della vita, come un medico, come un avvocato che s’invoca. Ogni divisione, ogni visione diversa si risana proprio nel Paraclito che illumina, come lingue di fuoco, il nostro animo, il nostro cuore. Per questo non bisogna avere paura nemmeno di sbagliare. L’amore non sbaglia, se è fatto nel nome del Signore. Nel Signore, infatti, è la nostra pace, perché ce l’ha donata prima di ritornare al Padre attraverso il sacrificio della croce. 
Copyright testi(C) Federico Cinti 2019 
Immagine: La Trinità  ( o Ospitalità di Abramo)- Di Andrej Rublëv - From here., Pubblico dominio, 
                      https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=54421 

venerdì 24 maggio 2019

Vanitas vanitatum


Un’assenza, un’attesa nel tiepido sole in cui pare
essere finalmente giunta la primavera.

È vuoto il silenzio, pensieri rincorrono mille
pensieri, una cupola concava il cielo lassù.

Vacue parole il mondo ripete alle orecchie ormai stanche
di chi non guarda più se non ciò che gli sfugge.

Vana è ogni cosa, vano lo scorrere muto del tempo.
Meglio è tornare da chi ci ama e ci vuole bene.

Casalecchio di Reno (Bologna), 24 maggio 2019

Ma poi che cos’è che conta davvero? Me lo chiedo, alle volte. Ci si affanna a correre dietro sogni illusori, ad ascoltare parole e voci senza senso, sicuri di quel poco su cui poggiano i nostri fragili piedi. Nulla, un giorno ci si accorge che ciò che si è fatto, ciò che si è cercato non vale nulla o vale molto poco. È una corsa, è un procedere sempre e comunque. E poi? Poi dove si giunge, se ci si perde, se si perdono le cose più importanti? Il tempo non torna indietro: noi non viviamo in un eterno presente. Le rose vanno colte a tempo opportuno. L’Ecclesiaste diceva, e non a caso, vanitas vanitatum, omnia est vanitas. Di fronte all’infinita immensità di Dio che cosa può reggere il confronto? In questo nichilismo dell’anima sta il nostro abbandono fiducioso, il nostro affidamento continuo. E così nulla è più vano, nulla è più vuoto, anche quando la realtà pare compromessa. Non veniamo dal nulla e al nulla non tendiamo. Per questo nei momenti della prova non siamo soli e la fatica trova il senso vero.
Copyright testi(C) Federico Cinti 2019
Immagine: fioritura di rose rosse -Photo by Ricardo Resende on Unsplash

domenica 19 maggio 2019

Nella quinta domenica di Pasqua - Anno C - (Letture:At 14, 21-27; Sal 144; Ap 21, 1-5; Gv 13, 31-33. 34-35)

Nuovo è il comandamento che il Signore
ai suoi veri discepoli ha lasciato
ed è il comandamento dell’amore
reciproco, su cui tutto è fondato:

Null’altro è così grande, è superiore
all’amore di chi per primo ha amato
sino alla fine, all’ultimo dolore
di chi a una morte atroce si è donato

per riportare a Dio l’uomo smarrito
sulla tortuosa via, lungo il sentiero
in cui il senso dell’essere è tradito.

Gesù ama i suoi d’intimo amore vero,
d’un amore indicibile, infinito,
rivelandoci il volto del Mistero.

Casalecchio di Reno (Bologna), 19 maggio 2019

Tutto è nuovo in Gesù, anche l’amore, che diventa il fondamento di una nuova umanità. Per questo, nel momento in cui il Signore sta per consegnarsi all’iniquo processo che lo avrebbe condotto a un patimento estremo e alla morte, dà un comandamento nuovo ai suoi discepoli, a tutti noi, che è di amarsi gli uni gli altri, nella maniera e con l’intensità in cui lui lo ha fatto con loro. Certo, come nell’episodio sul lago di Tiberiade, l’amore che Gesù chiede a Pietro è incondizionato: gli chiede se lo ama più di tutto il resto, ma il principe degli Apostoli risponde che gli vuole bene. Insomma, un po’ poco, se si considera che siamo già alla terza apparizione dopo la Pasqua. Ebbene, Gesù accetta anche che gli si voglia bene, al modo degli uomini, ma a patto che l’amore che si ha per lui sia lo stesso che si ha per gli altri uomini. In ciò sta il fondamento di un mondo nuovo, basato sul reciproco rapporto tra Cristo e umanità, proprio come avviene tra Padre Figlio e Spirito Santo. Ogni costruzione che non sia basata su tale reciprocità è destinata a fallire, perché nessuno di noi può fare a meno di Dio. Per questo siamo tutti chiamati a costruire, giorno per giorno, una città nuova, una Gerusalemme santa, che è la Chiesa, perché tutto è destinato a passare, i cieli, la terra e il mare. È oggi che dobbiamo vivere il comandamento di Gesù e solo così si realizzerà quel regno che già in terra è anticipo della gioia vera nel cielo. Gesù è andato a prepararci un posto, ci ha aperto la via al Mistero, che passa attraverso di lui, via verità e vita.
Copyright testi(C) Federico Cinti 2019
Immagine:Crocifisso della basilica di San Domenico, Giunta Pisano. Foto di Georges Jansoone - Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=725994

domenica 12 maggio 2019

Nella quarta domenica di Pasqua - Anno C - ( Letture:At 13, 14. 43-52; Sal 99; Ap 7, 9. 14-17; Gv 10, 27-30 )

Solo Gesù è l’autentico pastore
che conosce le pecore del gregge
una per una: le ama d’un amore
immenso, le soccorre, le sorregge

perché esse non patiscano dolore,
fame o sete, le guida, le protegge
per via da ogni pericolo o timore
e null’altro pensiero mai lo regge.

Le pecore conoscono la voce
del pastore che dà loro la vita,
perché è la vita offerta sulla croce

per salvare ogni pecora smarrita
che il Padre gli ha affidato, a cui non nuoce,
lui che è la via e la verità infinita.

Casalecchio di Reno (Bologna), 12 maggio 2019
È nell’immagine del pastore buono che Gesù offre una rappresentazione di quella che è la missione ricevuta dal Padre: guidare, proteggere e consolare le pecore che gli sono state affidate. Gesù non è il mercenario che non ha a cuore la vita delle pecore; anzi, è il pastore che è pronto a dare la vita alle pecore perché esse abbiano la vita vera e l’abbiano in abbondanza, perché Gesù, che è la vita, dà loro fin da qui l’esperienza della vita eterna. Non è qualche cosa che dovremo avere, chissà dove e chissà quando: la vita vera, la vita eterna, è esperienza del gregge di Cristo, è esperienza del regno già iniziato qui in terra. Gesù, che è una cosa sola con il Padre, dice esplicitamente: «Io sono», come la voce nel roveto ardente si era manifestata nella sua divinità a Mosè. In questo Gesù si mostra Dio, nell’avere in sé la vita e nel darla ai suoi in un rapporto di comunione, che altro non è se non l’amore pieno di cui parla. Molti non accettarono la rivelazione e l’annuncio del Vangelo, per la durezza del loro cuore. Anche oggi accade, forse anche perché siamo tiepidi testimoni del grande dono di cui siamo depositari e che a nostra volta dobbiamo trasmettere. È il depositum fidei, per cui si combatte la buona battaglia. Gesù ci guida, Gesù ci mostra la via, perché è lui la via. Che cosa ci aspetterà? Giovanni il veggente nell’apocalisse ce ne dà un’immagine. Ma se prestiamo attenzione alla nostra esperienza comunitaria, il Vangelo si realizza già qui e ci dà già il centuplo dei frutti. Non bisogna temere di professarsi pecore del gregge del Signore, unico pastore buono.
Copyright testi(C) Federico Cinti 2019 
Immagine: Cristo Buon Pastore - Mausoleo di Galla Placidia- Ravenna . 
Fonte: Di Meister des Mausoleums der Galla Placidia in Ravenna - The Yorck Project (2002) 10.000 Meisterwerke der Malerei (DVD-ROM), distributed by DIRECTMEDIA Publishing GmbH. ISBN: 3936122202., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=155308

sabato 11 maggio 2019

Nell'ora che posa


Parole s’inseguono: corre per l’aria il sospiro
d’un giorno incolore. Voci inafferrabili

sulle ali del vento, raccolte nell’ora che posa,
volteggiano libere, richiamano semplici

emozioni trascorse. Si stempera languido il giorno
nel sole dimentico nel suo pallore di sé

e del resto intorno. Risuona una musica dolce,
come di culla. Intanto pian piano m’accoccolo

quasi senza accorgermi. Cerco un momento di pace
anch’io nel fluire lento dentro l’anima

d’un desiderio, d’un vano ricordo nostalgico ancora
presente in me, eppure lontano ormai secoli

eterni, il pensiero che vive e fa vivere il cuore
di un’ansia fremente, d’un tenue sorriso

di rosa. Vorrei soltanto riuscire a colmare
quel mare infinito che irrompe e che s’agita

in me con la lieve carezza di fragili dita,
mentre voci e parole lontane s’inseguono.

Casalecchio di Reno (Bologna), 11 maggio 2019

Non so, ho sempre l’impressione d’avvertire un linguaggio segreto, ma segreto nel senso che è a me ignoto, che non riesco a capire fino in fondo. E forse è solo un mio limite, una difficoltà che prima o poi qualcuno mi spiegherà. Sta di fatto che, quando resto per lungo tempo a leggere o studiare, a un tratto mi rendo conto di seguire più quel che succede al di fuori della finestra aperta, ora che finalmente è possibile tenerle spalancate sul mondo. Ed è un susseguirsi di parole e sillabe che si rincorrono nel vento, per l’aria che galleggia come sospesa, mentre gli uccelli volano cinguettando chissà che canzoni. Certo, cose già dette, ma per me sempre nuove, se è vero che non riesco a non stupirmi tutte le volte, in un ciclo perenne che si ripete e fa sentire vivi. Alle volte ci vuole davvero poco per lasciare il grigiore ombroso di una stanza, per sentirsi come immersi nel fluire eterno di una dimensione che non pare la nostra, direi quasi la mia. Qualche cosa di me resta al tavolo, come immobile, mentre il resto vaga a cercare non so che felicità altrove. Ecco allora che parole s’inseguono, all’infinito s’inseguono e io con loro. 
Copyright testi(C) Federico Cinti 2019
Immagine: foto della finestra su cielo blu con tenda - Photo by Tarik Haiga on Unsplash