domenica 26 luglio 2020

Nella diciassettesima domenica del Tempo Ordinario - Anno A - ( Letture: 1 Re 3,5.7-12; Sal 118; Rm 8,28-30; Mt 13,44-52 )

Ti loderò, mio Dio, con cuore grato,

perché nel tuo mirabile disegno

ai piccoli nel mondo hai rivelato

i misteri ineffabili del regno,

 

ai semplici ti sei manifestato,

al di là d’ogni enigma, d’ogni segno,

come vera presenza nel creato

di speranza, d’amore, di sostegno.

 

Ti loderò, mio Dio, quando m’inciampo

nella tua perla oppure nel tesoro

ritrovato per caso nel tuo campo

 

in quell’interminabile lavoro

che quasi non sembrava darmi scampo

e canterò in eterno nel tuo coro.


Casalecchio di Reno (Bologna), 26 luglio 2020

Un tesoro prezioso nascosto nel campo: a questo somiglia il Regno dei cieli. Un uomo lo trova, lo nasconde, vende ogni altro suo tesoro e acquista quel campo. Il significato più immediato sta nel riconoscere in quell’uomo ogni uomo che ha trovato il senso di tutta la sua vita, Gesù stesso, e per poterne godere in eterno, rinuncia a ogni altro suo bene. È la ricerca della nostra gioia, della gioia più vera. Eppure, in questa parabola si vela anche l’amore di Dio per noi, pronto a tutto: se Gesù stesso è quel mercante, ha scoperto nel campo del nostro cuore il tesoro più prezioso, ha rinunciato agli altri tesori che possedeva, incarnandosi, e ha acquistato a prezzo della propria vita non solo il tesoro, ma pure quel campo. C’è una reciprocità: chi cerca Dio lo ha già trovato, perché anche Dio lo cercava. Così allora nasce il Regno, dal Signore che cerca e che trova ciò che di più prezioso esiste. Nella ricerca di ogni giorno anche l’uomo deve scegliere tra le vanità del piccolo campo in cui vive e solo quando trova il tesoro della vita può ritenersi felice. Allo stesso modo, Gesù ci spiega che il Regno è simile non alla perla, ma al mercante che trova una perla molto preziosa e fa di tutto per averla. Il mestiere del mercante è quello di trovare perle. Gesù cerca ogni singolo uomo per poterlo riacquistare, per tenerlo con sé per sempre. Quest’esempio deve dare forma a tutta la nostra vita, perché è la vita stessa di chi si è definito la vita. È così che nasce il vero Regno dei cieli, con qualcuno che ci viene a cercare e fa di tutto per strapparci ad altri mercanti spietati e senza scrupoli. È una lotta continua, una fatica, che tuttavia giunge al lieto fine. Ma il Regno è simile anche a una rete gettata nel mare. Non più il campo, quindi, ma il mare, simbolo di sopravvivenza e di pericolo per i pescatori. Il Signore si è proprio voluto circondare di pescatori che usano la rete. Non si fanno distinzioni: nella rete si trovano pesci buoni e pesci cattivi. Come nella parabola del grano e della zizzania, l’atto conclusivo è però la separazione tra i pesci buoni e quelli cattivi. La rete è gettata per tutti, ma non tutti si trovano nella stessa condizione. La Chiesa in fondo è quella rete, i pescatori i ministri di Dio che operano per la salvezza di tutti, anche se il giudizio finale spetta solo al padrone della pesca. Pure in questo caso la rete potrebbe essere Gesù, la verità che illumina le profondità tenebrose del mare, facendo emergere ogni cosa. Bisogna tuttavia farsi trovare pronti, essere preziosi come il tesoro e la perla.

Copyright testi (C) Federico Cinti 2020

Immagine tratta dal web

domenica 19 luglio 2020

Nella sedicesima domenica del Tempo Ordinario - Anno A - ( Letture: Sap 12,13.16-19; Sal 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43 )

Il Regno è come un campo in cui il padrone

semina il grano. Il suo nemico viene

a seminare il loglio. Cose buone

e maligne convivono. Si tiene

 

l’uno e l’altro. Si miete, ultima azione

al termine del tempo, quando il bene

trionfa e il male per purificazione

arde nel fuoco e le arche sono piene.

 

Il Regno è come lievito: fermenta

la pasta. Cresce e ognuno può mangiarne

fino a saziarsi. Il Regno è la sementa,

 

è un granello di senape: a piantarne

cresce un albero immenso che diventa

nido agli uccelli tra altre piante scarne.

 

Casalecchio di Reno (Bologna), 19 luglio 2020

Nella sapienza antica delle parabole si celano le verità del Regno dei cieli, il cui Padre invochiamo ogni volta nella preghiera insegnataci dal Figlio. La piccolezza di un chicco di grano, di un seme di senapa e del lievito diviene la cifra costitutiva dell’azione del Regno stesso nella storia dell’uomo e del mondo. È la stessa piccolezza, o meglio umiltà, che il Signore ha guardato nella sua serva, in Maria, prima depositaria del germe di un’umanità nuova. Nel nascondimento della terra seminata cresce di giorno in giorno il Regno. È Gesù stesso che spiega ai discepoli il senso recondito del suo discorso. In quel campo il Padrone ha seminato seme buono, perché il suo seme è sempre buono, anche se finisce sulla strada, tra i sassi o in mezzo ai rovi. Il raccolto deve essere abbondante e non va lesinata la seminagione. Tuttavia durante la notte, quando il buio toglie luce agli occhi del cuore e dello spirito, l’avversario infesta quel campo di zizzania, di loglio, di piante infestanti. Solo dopo un po’ ci si accorge di quel che è successo. I servi vorrebbero estirpare con prontezza ciò che soffoca il grano, ma il tempo del Signore è il tempo della pazienza: vuole che il grano sia abbondante e perfetto, non vuole rischiare di danneggiarlo. È l’azione di Dio nella storia: estirpare l’errore, non l’errante. A contatto con i figli del Regno c’è possibilità sino all’ultimo di redenzione. Occorre pazienza e abnegazione. I servi rimproverano il padrone del campo di non aver seminato bene, perché non hanno la visione complessiva della Provvidenza di Dio, quasi non si affidassero completamente. Non replicano più al Signore, ma eseguono, perché le parole di Dio sono verità e vita. Invocare il giudizio del Signore potrebbe essere pericoloso per i buoni e per i cattivi. Ma quel campo potrebbe essere pure il nostro cuore, il cuore dell’uomo. Occorre pazientare e cercare di liberarlo a poco a poco di tutte le erbacce: la pazienza che si impara alla scuola del Vangelo opera nel nome del buon Seminatore. Nel giorno della luce, le opere delle tenebre verranno smascherate e anche l’avversario, il tentatore, non avrà più possibilità d’agire. Per questo ci si deve sforzare di essere figli della luce anche quando il grano sta crescendo nella nostra vita, perché con quella pazienza possiamo purificarci a poco a poco, anche se non capiamo del tutto nel nostro limite. Bisogna agire come il lievito, che fa fermentare la massa di farina e sfama tutti. È un atto di fiducia impastare e lasciar riposare. Il lievito non si vede, ma c’è e opera, anche quando la farina sembra inerte. Ma il lievito del Regno non scompare. È un’immagine della Chiesa, che nel silenzio della preghiera agisce, opera e salva. Nell’orto il più piccolo dei semi dà la pianta più grande: il granello di senapa dà la pianta su cui anche gli uccelli, che mangiano i semi, vanno a trovare riparo e a fare il nido. Altra immagine del Regno e della Chiesa. Da una persona sola è scaturita la salvezza di tutti. Cristo è il grano buono, il lievito e il granello di senape e noi che ci diciamo cristiani non possiamo che percorrere il percorso di chi si è rivelato Via, non possiamo vivere se non come chi si è dichiarato la Vita, non possiamo credere se non a chi si è mostrato quale unica, eterna Verità.

Copyright testi (C) Federico Cinti 2020

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domenica 12 luglio 2020

Nella quindicesima domenica del Tempo Ordinario - Anno A - ( Letture: Is 55,10-11; Sal 64; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23 )

Gesù semina, il seme è la parola

che ai discepoli è stata rivelata.

La semente si sparge ovunque: vola

lungo la via ed è subito rubata

 

dagli uccelli; altra in parte cade sola

tra sassi e rovi, finché è soffocata

senza più la speranza che consola;

una piccola parte è poi gettata

 

sopra il terreno buono e porta frutto

grande, il cento, il sessanta, il trenta. Il cuore

è il campo in cui germoglia il seme. Tutto

 

è rivelato ai piccoli: il Signore

semina in abbondanza dappertutto

la parola di vita che non muore.

 

Casalecchio di Reno (Bologna), 12 luglio 2020
Nel seminare il Signore non bada a sprechi, anche perché nulla di quel che da lui viene va mai perso, anche se all’apparenza può sembrare il contrario. La parabola del buon Seminatore spiega proprio dell’azione della Parola, di Gesù stesso, che è il Verbo incarnato. Non deve esistere luogo che non sia raggiunto dal suo annuncio: tutti devono sapere. È la richiesta di ascoltare incessantemente tutto quello che esce dalla sua bocca, parola di vita e di verità. La semente cade sulla strada, in mezzo ai sassi o tra i rovi; solo in parte giunge sul terreno buono e germoglia per dare il cento, il sessanta o il trenta per ogni chicco. Il senso della parabola è spiegato da Gesù stesso. La potenza della Parola è in grado di agire su tutti i terreni, anche se in modo diverso o apparentemente inutile. Il cuore di ognuno di noi è un campo: alle volte siamo refrattari ed è come se cadesse sulla strada; altre volte ci entusiasmiamo per la Parola, ma le radici non attecchiscono e la pianta viene bruciata dal sole; altre volte ci soffocano i rovi del nostro orgoglio; eppure, ci sono pure volte in cui il nostro cuore è terreno fecondo, adatto ad accogliere il seme e a dare frutto, tanto frutto, a seconda delle nostre possibilità. Il Seminatore lo sa, lo sa bene, ed è per questo che non si stanca mai di seminare, ogni giorno, ogni istante della nostra vita. La parabola parla di noi anche come seminatori, perché la nostra vita deve essere missionaria, deve portare a tutti, come ha fatto il Maestro, la Parola. Non ci si deve demoralizzare se il frutto del nostro annuncio non è quello sperato: bisogna essere esempi viventi di quel che diciamo. La potenza della Parola agirà attraverso di noi: il resto non deve interessarci. È il nostro apostolato. Molti infatti si erano radunati per ascoltare Gesù e lui si era messo ad ammaestrarli da una barca. Sapeva che pure quella era una semina, una semina abbondante. Solo agli Apostoli ha rivelato apertamente il significato di quel gesto e di quelle parole, perché l’azione di grazia spetta a Dio, non agli uomini. E così noi siamo gli operai della messe: il nostro compito è adoperarci per il raccolto con tutte le nostre forze. Le manie di protagonismo, dell’io imperante in ogni nostro atto, non sono cosa buona. Anche Gesù si è trasformato in seme che è morto ed è risorto, dando molto frutto. Questo è l’esempio più efficace di una vita spesa per il Regno di Dio, il Regno di Gesù, buon Seminatore.

Copyright testi (C) Federico Cinti 2020

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