sabato 25 aprile 2020

Lo sapevamo, Stefano


Lo sapevamo, Stefano:
il tempo non perdona. Un frullo, un battito
lieve d’ala. La pagina
si volta, imperscrutabile silenzio.

Lo sapevamo, Stefano,
ma fingevamo d’essere inscalfibili.
Tu lo eri. Io ancora claudico
più d’un equilibrista in solitudine.

Lo sapevamo, Stefano:
sul ciglio della via non c’è rimedio.
Attendevamo taciti
quell’attimo, incoscienti o inconsapevoli.

Lo sapevamo, Stefano,
ma questo vuoto, credimi, è incolmabile.
Frugo nella memoria,
ma manca un pezzo adesso al mio mosaico.

Lo sapevamo, Stefano,
che non andava bene. I sogni fragili
crollano. In quel tuo ridere
c’era il senso di tutto il nostro vivere.

Lo sapevamo, Stefano,
ma l’ho capito adesso, sulla soglia
che ci separa, linea
senza confine, muto, ultimo transito.

Lo sapevamo, Stefano:
il migliore eri tu. Nel nostro studio
s’era trovato un codice,
un segno tutto nostro per non perderci.

Lo sapevamo, Stefano:
non termina il dialogo, lo scambio
tra noi. Nel mio precario
andare non mi stacco dal tuo braccio.

Casalecchio di Reno (Bologna), 25 aprile 2020 
Non so, Stefano, quando ci siamo conosciuti. Ho l’impressione che ci siamo conosciuti da sempre. La Croce ci ha uniti senza saperlo. E poi il fatto che tu fossi nato proprio dove abito mi è sempre sembrato un segno. Ti conoscevo da sempre, anche se la differenza d’età un po’ mi frenava: tu eri grande per me. Ma l’amicizia non si misura da questo. Ci sono stati anche periodi in cui non ci si è visti per tanto tempo: io ero troppo distratto a inseguire i miei sogni. Poi è successo: ci siamo incrociati di nuovo, trovati come di ritorno da un lungo viaggio, ognuno il suo, ma in fondo uguale per entrambi. Ti ricordo quel giorno al bar, al Caffè Anna. Fumavi con Mauro. Dovrei dire Maurone, considerate le dimensioni. Chissà dove andavo. Venivo a ritrovarti. Parlammo un po’; anzi, un bel po’. Il tempo e la distanza si erano annullate: era come se ci fossimo salutati il giorno prima per rivederci lì. Questo è poi capitato mille altre volte, direi quasi ogni volta, quando per qualche motivo scomparivi o scomparivo io. Era il tempo in cui avevo cercato di dare il mio piccolo contributo al nostro Comune, a Casalecchio. Avevi cercato in ogni modo di mettermi in lista, nella lista in cui tu non eri voluto essere messo, perché ti avevano promesso qualcosa. Promessa vana, come sappiamo; ma la politica è così: tu la facevi per ideale, non per interesse. Anzi, non era nemmeno politica: per te era una missione. Prima delle elezioni presentammo il mio primo libro di poesie, lo Speculum salutis: ti piacque tanto e ne parlavi entusiasta. Ora me ne vergogno un po’, perché sono cambiato molto. Anche io ne ero in fondo soddisfatto. Iniziava così un nuovo viaggio, il nostro viaggio. Avevamo progetti per un’amministrazione migliore, semplicemente a misura del cittadino. Tu eri un visionario. Ecco, mi strideva il fatto di vedere con te che vedevi troppo. Ho sempre pensato che fossimo complementari e in effetti era così. Avevi capito che avevo bisogno di una guida: a te non sfuggiva nulla, perché sapevi leggere nell’animo umano. Mi guardavi, non mi dicevi nulla; facevi una pausa di silenzio, poi guardando avanti mi dicevi ciò che stavo pensando o provando. Era così, tutte le volte. Anche quando abbiamo fatto la campagna elettorale contro tutti, contro quel muro di gomma che si chiama ipocrisia o burocrazia. Io ero impaurito: sai, per me era tutto nuovo. Per te era la vita, la passione, la ragione che ti muoveva. Volevi essere utile e non sai quanto lo sei stato. A me in primis, ma io conto poco nel panorama generale. Con te non avevo paura di nulla, anche quando mi facevi fare ciò che non volevo. Ci stavo male. tu lo sapevi, ma quella era la mia medicina: me lo ripetevi sempre. Dovevo imparare, perché tutti ci siamo passati, tutti hanno avuto paura. Mi hai aiutato a superare tanti ostacoli, tante barriere, tanti muri. Ora ho quasi imparato, ma tu sei partito per un altro viaggio. Ogni tanto sparivi ed è giusto così: io non ho mai indagato tra le tue cose personali, intime. So che prima o poi me le avresti raccontate, se erano da raccontare. Tante cose le ho percepite e tu sapevi che avevo capito. Mi prendevi in giro, certo, ridevi anche, soprattutto quando avevi la certezza che io avessi compreso. Mi hai portato dappertutto. Quando sentivi il mio grido, dicevi, correvi qui: io scendevo fischiando dalle scale, tu eri sotto a fumare l’immancabile sigaretta o a parlare al telefono. Un saluto, quello di sempre. Poi mi dicevi dov’era la macchina e spesso non mi ci accompagnavi. Di solito però sì, questo sì, mi prendevi sotto braccio e mi raccontavi i tuoi progetti. Quanti progetti avevi, Stefano: non lo so dire. ne avevamo anche ultimamente. La scuola doveva cambiare per te e io assieme alla scuola: svecchiare, colmare i fossati, tirare dritto. Gli altri non capivano questo tuo atteggiamento. Io sì. E lo condivido. So che «avevamo studiato per l’aldilà / un fischio, un segno di riconoscimento». In fondo siamo uguali: per questo ci siamo trovati e voluti bene. Ora che sei partito per questo viaggio senza nemmeno salutarmi, credimi, non me ne faccio un cruccio: tu sei fatto così. Ma quel «segno di riconoscimento» io provo a modularlo, perché sono convinto che tu sei ancora qui. In questi giorni non ho fatto altro che parlare di te con gli amici: era un modo per esorcizzare la dipartita. Poi giungerà il tempo del silenzio, come facevi tu, prima di dire la verità sulle cose. Io l’ho imparato e il mio dialogo con te non è finito, non finirà mai. Tu sei sempre con me, Stefano. 
Copyright testi (C) Federico Cinti 2020

immagine da " il Resto del Carlino" 

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