tra le anonime case stonacate
dove abitavi, dove abiti ancora
dietro le tapparelle un po’ abbassate,
tutto è lì, e questo fatto mi rincuora,
dopo le mille cose trapassate
nell’ansia della vita che divora
l’attimo, è lì, come ogni calda estate
trascorsa tra le chiacchiere, a cantare
quell’aria di fra Diavolo per via
per divertirci, per dimenticare
non so che cosa, ammesso che ci sia
qualcosa da rimpiangere o scordare,
amico mio, per noia o nostalgia.
Casalecchio di Reno (Bologna), 4 aprile 2018
Eppure è da qualche giorno che canto e ricanto la famosa aria di "Fra diavolo", quella del film di Stanlio e Ollio del 1933, il film visto e rivisto fino a conoscerlo a memoria, quello che si basava sull'omonima opéra-comique di Daniel Auber del 1830. In particolare ha per me il sapore della madeleine proustiana, perché un'estate avevamo preso l'abitudine di cantarla, la sera, io e il mio amico d'infanzia Hiram. In verità ero io che la cantavo e amavo fermarmi prima dell'acuto, anche perché prendevo il tono sempre troppo alto e mi sembrava di strozzarmi. E Hiram, come il più scafato degli impresari, m'incitava a esibirmi e io ricominciavo. Ecco il testo della famosa aria:
Quell'uom dal fiero aspetto
guardate sul cammino
lo stocco ed il moschetto
ha sempre a lui vicin.
Guardate un fiocco rosso
ei porta sul cappello
e di velluto indosso
ricchissimo mantel.
Tremate!
Fin dal sentiero del tuono
dall'eco viene il suono
"Diavolo, Diavolo, Diavolo."
Tremate!
Fin dal sentiero del tuono
dall'eco viene il suono
"Diavolo, Diavolo, Diavolo."
Eh, caro Hiram, ma è proprio tutto come allora? Ci passo e ci ripasso per la tua strada, so che tu abiti ancora lì, ma non so se a essere cambiati siamo solo noi. Oppure solo noi siamo rimasti uguali a quelli di tanti anni fa, che s'incontrarono all'asilo e che ridevano per una parola che non ricordiamo più? Eravate venuti in visita all'asilo di via Canonica, quello che io chiamavo l'asilo vecchio, dopo che venni nel tuo in via Caravaggio, anche se tu non c'eri già più, anche se tu eri già al di là della rete, eri alle elementari, in quell'edificio che non riesco ancora a capire, brutto come sono molti edifici in periferia. Ero un purista già da bambino e mi chiedevo perché una scuola dovesse avere la forma del tendone d'un circo. Inspiegabile, veramente inspiegabile per me, allora, come del resto adesso. Ma la gente continua a non darmi retta.
Ogni tanto parliamo di quegli anni il Faemo e io, quando mi scarrozza di qua e di là col suo taxi. A me prende quasi un nodo alla gola e non riesco a dire nulla, e non riesco a ricordare nulla, mentre lui sa tutto di tutti. Ma come fa? A me pare quasi sia stato reciso il cordone ombelicale, ma altre strade ho preso. Eppure certe cose mi restano, certe cose sono solo mie. Ecco, quest'aria è solo mia, è solo nostra e non posso certo dimenticarla e anche tu, per favore, non dimenticarla mai.
Copyright testi e video (C) Federico Cinti 2018
Nessun commento:
Posta un commento