Un brivido, il primo, mi scuote
nel morbido caldo del sole
obliquo tra candide note
d’un canto, ma senza parole,
tra nuvole soffici, vuote
per l’aria incantata che vuole
invano emozioni ormai ignote,
ma nuove, ora stanche, le sole,
un brivido, eppure non sono
più quello di prima: mi sento
adesso, non so, sotto tono,
mi scopro una foglia nel vento
tremante nel flebile suono
che passa, così, in un momento.
E
questo caldo morbido che filtra dalla finestra chiusa, obliquo per la stanza un
po’ in penombra, mentre da fuori i suoni giungono ovattati come da un’altra
dimensione, senza che si sappia da dove. E tutto a un tratto un brivido, il
primo della stagione, fa ripiombare ogni cosa nel ciclo dei ricordi, del già
vissuto, ma chissà quando. È una sensazione strana, come se si ritornasse da un
lungo viaggio e si ritrovasse ogni cosa come la si era lasciata e nello stesso
tempo non la si riconoscesse quasi più. Eterno ciclo, certo, ma in cui tutto è
sempre diverso, è sempre nuovo. Ecco, forse è l’autunno che leggevo da bambino
sul sussidiario, le foglie gialle, il vento più fresco e l’odore di muschio del
bosco che si stende sul monte vicino e sui colli lontani. È l’autunno carico di
frutti di cui parla il buon Orazio, stanco e malinconico, eppure così carico di
dolcezza. Ci si fa più pesanti, con un giubbino indosso senza quasi
accorgersene, con le finestre chiuse. E l’estate torna a essere un ricordo.
Copyright testi(C) Federico Cinti 2018
Immagine: Foglie di acero autunnali e maglia a righe bianche e rosse - Photo by Emma Matthews on Unsplash
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