È stanca anche l’aria, distesa
dovunque su un languido giorno
d’inizio settembre, sospesa
appena a un silente contorno
di nuvole lievi in attesa
di non si sa cosa dintorno,
e tutto mi spiace, mi pesa
addosso, mi sembra il ritorno
del solito vecchio copione
già visto migliaia di volte
ormai senza quasi emozione
tra troppe memorie sepolte
nel porto dell’anima, icone
di polvere, vuote, irrisolte.
Non
so, alle volte ci sono giorni strani, immobili, che sembrano non passare mai,
in un’atmosfera obliqua di luce strana. Ecco, la luce che mi descrive la mamma,
così opaca alle volte, così ovattata in questi giorni indefinibili, giorni che
mi paiono d’inerzia. E vorrei fare mille cose, ma tutto mi pare scontato e
inutile. E poi fuggono via, pure quando iniziano in sordina, lenti lenti. Ma il
pomeriggio ha una fissità inesprimibile a parole, ha un suono e una voce senza
tempo, che sa di polvere, come la memoria di troppe vite già vissute e quasi
dimenticate. Ecco, è come un ripostiglio in cui tutto s’accumula e, ogni tanto,
si ritrova fortunosamente, quasi riemergesse da chissà dove e chissà perché. È
il tempo in cui finisce l’estate, in cui più prepotentemente s’avverte l’incombere
della scuola. Quando ero studente, e anche nei primi anni di servizio, non
vedevo l’ora che ricominciasse. Adesso mi lascia un po’ indifferente; anzi, ogni
volta è come se morisse qualche cosa, perché non sopporto che finiscano le
cose. Eppure, nel mondo del transeunte, tutto deve passare, tutto deve finire,
e poco importa se veramente si trasformi in qualcos’altro, perché non ho più
coscienza di me. Ecco, in questo giorno mi sento così. Ma forse è bene non
pensarci troppo.
Copyright (C) testi Federico Cinti 2018
Immagine: Ripostiglio pieno di cose -Photo by James Qualtrough on Unsplash
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