E po' sóbbit l é sîra
Ognón da par sé só l côr ed sta tèra
al stà trapasè da un fîl d såul:
e pò sóbbit l é sîra.
S. Quasimodo, ed è
subito sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
Nel momento in cui mi è venuta la
voglia di sentire come avrebbe suonato in bolognese questa celeberrima poesia
di Salvatore Quasimodo, mi si è posto di nuovo, come sempre del resto, il
dubbio amletico: ma che cosa è che è «trafitto», «ognuno» oppure «il cuor della
terra»? quando lo chiedo ai miei studenti, di solito si fronteggiano le due
fazioni, quella che sostiene «ognuno» e quella che sostiene «il cuor della
terra». Oh, secondo me tutt’e due: l’ambiguità è voluta, se non ricercata ad
arte. Già, l’arte, e la poesia è forse la più sublime di tutte le arti assieme
alla musica, con cui condivide la dimensione arcana del significante, si nutre
di espressioni interpretabili in sensi diversi. Non ho mai capito appieno
l’ansia di quei critici o esegeti che hanno bisogno di chiarire senza dubbi, di
dare una e una sola interpretazione, e che, anche quando scrivono, vogliono
risultare quasi geometrici nell’esposizione.
Anche in bolognese, a ogni modo,
quest’epigramma ha una sua potenza evocativa di non piccolo momento. Non so,
forse è data dal fascino arcano del ritmo dattilico, con quel primo doppio
senario (con accenti di II, V, VIII e XI) seguito da un novenario (con accenti
di II, Ve VIII sillaba) e chiuso da un settenario con accenti di III e VI
sillaba. In fondo, è l’andamento epico per eccellenza, che rimanda a rapsodie
ancestrali che ancora risuonano nelle nenie dei bimbi. Non si ripeterà mai
abbastanza che a rimettere in circolo il novenario è stato Carducci, con la sua
metrica barbara, e poi Pascoli, con la sua ossessione per i metri dattilici, lo
ha reso un verso dell’anima. Sì, poi è vero, nei libretti d’opera a partire dal
Seicento non mancano di certo esempi di arie di novenari, decasillabi e senari…
mi viene in mente quel madrigale di Carlo Milanuzzi da Santa Natoglia, musicato
da Monteverdi, Sì dolce è ’l tormento.
Resto incantato ogni volta che lo sento eseguire, soprattutto da voci maschili…
Ma queste cose mica le posso dire
ai miei studenti, al buon Carlo che, anche oggi, mi ha aiutato a realizzare
questo video in cui leggo la mia traduzione e poi l’originale, al buon Andrea,
che ci accompagnava per darci consigli sulle inquadrature e sui mezzi
tecnologici. Perché, e bisogna dirlo una volta per ttutte, la poesia è una cosa
viva e continua a vivere, finché qualcuno le dà vita, eseguendola a voce alta,
prestando la propria voce e la propria presenza scenica. Ora, io non è che sia
chissà chi, ma almeno ci provo, come ci ho provato da sempre.
Lo dico in chiusa, ma solo per
comodità, non sarà il caso di approntare una seconda edizione del “Parnaso”?
no, anzi, non seconda edizione, ma seconda puntata? Interpellerò chi di dovere.
Io intanto mi metto all’opera, ché non si sa mai…
Copyright testi e video (C) Federico Cinti 2018
Nessun commento:
Posta un commento