farmi rapire dalla fantasia
di quello che sarò, di quel che fui,
di quel che sono già, sia quel che sia,
in questi giorni così tetri, bui,
colmi soltanto di malinconia
greve di sogni, di pensieri altrui,
mentre ogni cosa passa, fugge via,
e in fondo non so quando, non so come,
scorgerò scaglie lucide di mare
oltre il sipario verde delle chiome
degli alberi frondosi in cui scompare
l'ansia senza colore, senza nome
qui sulla soglia, qui sul limitare.
Casalecchio di Reno (Bologna), 19 febbraio 2018
Alludo a Leopardi, alludo a Montale, ma manca il mio Pascoli, oppure c'è, ma non si vede, nascosto anch'egli dietro la siepe: «Ch'io veda soltanto la siepe / dell'orto, / la mura ch'ha piene le crepe /di valeriane» ("Nebbia", 8-12). Non so, è tutt'oggi che ci penso, che penso che vorrei starmene al riparo, col freddo di questi giorni invernali, che vorrei starmene in casa a fantasticare «non so che felicità nuova» (Pascoli, "Gelsomino notturno", 24). Ecco, magari passo da una stanza all'altra, da oriente a occidente, seguendo il corso di un ipotetico sole che ci gira intorno, anche se il giorno è grigio e piovoso, anche se il sole poi non gira certo. Eppure un raggio di sole cambia la giornata, cambia l'umore, cambia la voglia di stare. La siepe protegge, la siepe ripara, divide e unisce allo stesso tempo. E poi quel mare, in fondo, dove naufragare, almeno per chi pensa che al di qua siamo in un perimetro troppo stretto, che non è il nostro. Un po' lo penso anch'io, anche se so che mi fa paura spingermi in territori inaccessi. E allora aspetto che ritorni il sole a rischiarare un po' queste elucubrazioni da fine inverno e le «notti acerbe e dure» (Della Casa, Rime LIV 14).
Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Collina di Recanati che ispirò L'infinito di G. Leopardi, foto di C. Raso, Flickr
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