martedì 27 marzo 2018

A Francesca e Paolo

A parlare con Paolo, stamattina,
m’ha punto come sempre la vaghezza
di Francesca dinanzi alla ruina
tra le strida indicibili, l’asprezza


del supplizio infernale, in cui declina
senza pietà la ragionevolezza
dell’uomo, ed ecco ancora l’eroina
del cuore per l’eterna leggerezza


vola ormai persa, come foglia al vento,
mentre tiene amorevole la mano
di chi starà con lei nel mondo spento


d’ogni luce divina, d’ogni umano
moto, nel loro greve sentimento
sempre più triste, sempre più lontano.


Casalecchio di Reno (Bologna), 27 marzo 2018




Che poi me lo devono spiegare perché tutti dicono «Paolo e Francesca», quando lui non fa altro che piangere ed è lei a raccontare la «prima radice» di quell'amore che li ha portati dritti dritti all'inferno, nel cerchio dei lussuriosi. Insomma, tra i due il gigante è senza dubbio lei, Francesca da Rimini, che poi è Francesca da Polenta (il cognome della sua augusta casata era quello). Ama, certo, ama fino alla morte, anche se il suo è un amore in cui il «talento», potremmo dire il desiderio mosso dall'istinto naturale, è sottomesso, anteposto, alla «ragione». Nel latino scolastico medievale «amor» è «voluntas animi» e va diretto al Creatore, non alla creatura, soprattutto se già si è sposati, come Francesca con Giovanni Malatesta, detto lo storpio (Gianciotto). Oh, capisco che questo Gianciotto non fosse un Adone, mentre pare che Paolo non fosse poi così male... ma forse non era del tutto colpa loro, visto che anche gli stilnovisti, Guinizelli in primis, sostenevano che «al cor gentil rempaira sempre amore», ossia che al cuore di una persona veramente nobile ritorna sempre l'amore. E la nostra cara Francesca dice proprio così, quasi come Guido Guinizzelli: «Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende». Ma allora anche il «dolce stil novo» è un po' peccaminoso, visto che canta di un amore grandioso, per una donna angelicata, ma adultero. Allora anche Dante ha rischiato grosso con Beatrice... già, ma questo nessuno ce lo dice mai. E allora il povero «Lancialotto», che amava la moglie di re Arturo? Anche lui, per colpa di Andrea Cappellano, il teorico dell'amor cortese, non è che sia un grande modello morale in fatto di amore. Oh, bisogna stare attenti a maneggiare la letteratura, perché si può anche finire male, molto male, in quel gioco di specchi deformanti e labirintici che costruisce, forse senza saperlo: Francesca e Paolo che si amano leggendo di Ginevra e Lancillotto. E Beatrice e Dante? Potevano essere anch'essi al fianco di Francesca e Paolo, rischiando di essere il terzo lato di quel triangolo equilatero, se Beatrice non fosse stata salvata da Dio e non fosse diventata davvero «la donna della salute» e se Dante non si fosse accorto della pericolosità di certe letture. Già, perché Dante è davvero un genio assoluto e può fare critica letteraria, oltre che morale o spirituale, sempre che si possa dire, pure in un poema quale è la sua «Commedia». E vaglielo dire a Paolo, che questa mattina mi faceva il video per la nipote, vaglielo a dire che siamo tutti nella stessa barca e che Dante è il nostro nocchiero. Già, anche il tema dell'acqua e della navigazione andrebbe approfondito. Dopo le vacanze pasquali magari chiedo a Paolo di farmi un altro video per parlare di Ulisse.

Copyright testi e video (C) Federico Cinti 2018
Immagine: Doré, Quel giorno più non vi leggemmo avante






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