Si sfrangia fra il pulviscolo autunnale
la luce obliqua della fantasia
nel pallore d’un giorno sempre uguale
a sé, come una cupa malattia
sentita addosso, anche se è tale e quale
ogni cosa, una lieve nostalgia
mai conosciuta prima, ma che assale
simile a un acquazzone sulla via
di pensieri, d’immagini, emozioni
senza più alcuna età, quasi latenti
nell’anima, sottili sensazioni
di cose ormai trascorse, altri momenti
d’un film in bianco e nero, senza suoni,
di visi opachi, di sorrisi spenti.
Casalecchio di Reno (Bologna), 16 ottobre 2018
«… si levan le foglie»,
avrebbe cantato il vate sublime senza tempo. Ma l’immagine è quella, fitta nel
cuore, fitta nella mente in questi giorni di malinconia autunnale, d’una
monotonia grigia nella fissità dell’ora. Eppure tutto si fa, tutto si deve
fare, tutto continua nella frenesia di un mondo distratto che non s’accorge di
quel che gli sta intorno, scandito da ritmi che non sono quelli della natura,
ma di un’idea di cultura che lo rende schiavo del suo labirinto reale e
virtuale, dietro gli schermi di cellulari e computer. Ma il prisma cangiante
del di fuori di noi, riflesso dentro di noi, crea armonie uniche, irripetibili.
Ed è questo che riscatta anche un tempo così opaco come quello di questi
giorni. Foglie nel vento, tramonti fissi all’orizzonte in un crepuscolo di sole
in agonia. E l’umido freddo che si vive dovunque, simile a un compagno
silenzioso in casa e per via. Ma ecco ottobre nel suo aspetto più crudo, a un
passo dal giorno in cui ricorderemo il transito terreno dei nostri cari tra
giardini e orti muti, come la cenere di chi ci ha preceduto e voluto bene. Ma è
un passo dovuto, qualcosa che non durerà per sempre. E questo è consolante.
Copyright testi(C) Federico Cinti 2018
Immagine: foto A.M.
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