domenica 23 settembre 2018

Nella venticinquesima domenica del tempo ordinario



È faticoso ammettere che ho un io
incline al desiderio del primato
sugli altri con un sordo mormorio
dall’acre gusto simile al peccato

e doloroso è ammettere che il mio
cuore è lontano da chi mi ha creato
a somiglianza e immagine di Dio
per essere qui in terra già beato;

ma, come già agli apostoli, il Signore
mi dice che il più grande è chi è capace
di farsi rispettoso servitore

dei piccoli del regno, a chi non spiace
farsi come un bambino e operatore
in ogni circostanza della pace.

Casalecchio di Reno (Bologna), 23 settembre 2018
 
Non è certo cosa di oggi gareggiare sempre per essere il primo, nelle grandi come nelle piccole circostanze della vita; anzi, probabilmente è qualche cosa che ci portiamo dentro, qualche cosa contro cui dobbiamo lottare intanto per essere un po’ migliori di quello che siamo e soprattutto per diventare come il Signore ci vuole. Già, perché nel racconto odierno del Vangelo, mentre Gesù e gli apostoli tornano a Cafarnao, tra i Dodici sorge la discussione per capire chi sia di essi il più grande, ma senza farsi sentire o vedere da Gesù. E questo capita spesso a noi, che siamo in competizione con gli altri anche solo per inezie insignificanti. Gesù è molto netto nel tracciare il profilo del primo e del più grande: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Insomma, la nostra gerarchia di valori è ribaltata completamente. E del resto non poteva che essere così, se Gesù, il Figlio di Dio, anzi Dio stesso, aveva scelto di diventare in tutto e per tutto uomo, per servire gli altri uomini, per non sottrarsi al dolore e all’umiliazione sino alla morte e alla morte di croce. È difficile accettare il discorso di Gesù, perché scardina il nostro orgoglio, quello scritto nel nostro intimo. Eppure, bisogna porsi al servizio e non essere serviti. Il Maestro non manca anche in quest’occasione di fare un esempio per dimostrare che cosa egli intenda e sottolinea che bisogna essere disposti a essere come bambini, che all’epoca non avevano diritti fino alla maggiore età, ed erano in balia del mondo degli adulti. Le sue parole non lasciano dubbio alcuno: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Per essere come il Padre ci vuole bisogna che diventiamo come un bambino indifeso, che si fida in tutto e per tutto della parola del Figlio, mandato per la salvezza del mondo. I desideri di grandezza che nutriamo sono solo effimere illusioni, destinate a tramontare come tutto quel che in fondo è sì bello, ma senza autentico valore.

Copyright (C) testi Federico Cinti 2018
Immagine: Padre che tiene il figlio in braccio su una collina verde - Photo by Natalie Toombs on Unsplash

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