in fuga sulla via dell’infinito
ripetersi e una volta ripetuto
ripartire da dove era partito,
ascolto assorto dentro il buio muto
elevarsi lo spirito rapito
al più lontano vertice, perduto
per un attimo e subito smarrito
di nuovo dove mai, non è mai giunto
o dove la vertigine apre porte
inaccesse tra il punto e il contrappunto
dell’essere, dall’uomo avuto in sorte
all’origine, su, nel cielo assunto,
oltre l’ultima linea della morte.
Casalecchio di Reno (Bologna), 14 novembre 2017
Mi capita, e non di rado, di essere come rapito dal genio di J.S. Bach, in particolare dalla fuga, da quel ripetersi quasi ossessivo di un tema che si rincorre ciclicamente. Non so spiegare, ma è come una sorta di ascesa, di scala che, a poco a poco, mi eleva a una rarefazione difficilmente spiegabile, ma che mi lascia sospeso, fuori di me. Questa stessa sensazione l'ho provata, non molto tempo fa, ripassando una sera mentalmente l'ultimo canto del "Paradiso" dantesco: stranissimo, davvero, mi pareva il dolce naufragio nel mare dell'infinito leopardiano, che altro non era se non "lo gran mar de l'essere" di cui parla sempre dante in Par. I 113. Ecco, allora, posso dire che la fuga si ripete a ondate, "alterne eterne" (G. Pascoli, "Nella nebbia", 14), fino a che non ci si rivela davanti l'immensità del nostro essere, fatto per abbracciare l'universo e il suo Creatore.
Copyright (C) Federico Cinti 2018
Immagine: The face of Bach, Elias Gottlob Haussmann, Version of 1748
Nessun commento:
Posta un commento