sarò forse il caso strano
di un malato poco sano
che sopra ali di gabbiano
oggi insegue il sogno vano
di ogni singolo italiano,
se si scende da Bolzano,
fino al fondo siciliano
dove erutta anche il vulcano,
ma non quello leopardiano,
con un rombo disumano:
molto in fretta o troppo piano,
con il piede o con la mano,
ti saluto da lontano!
Casalecchio di Reno (Bologna), 25 gennaio 2017
Ero valetudinario, mio malgrado naturalmente, e mi
risuonavano in mente i versi della poesia di Walt Whitman: “Capitano,
mio capitano!”. Oh, non so, forse era solo la suggestione del famosissimo film
di Robin Williams, “L’attimo fuggente”, in cui un professore più strano di me
recitava con la passione dell’educatore. Già, il mio caro Orazio ci sta sempre:
“carpe diem, quam minimum credula postero” (carm. I, 11, 8). Insomma, vivere
appieno la pregnanza dell’attimo direi che sia un valore che va al di là di
ogni norma stabilita, anche perché non significa altro che vivere al meglio,
gustandolo ovviamente, tutto quel che si fa e che si è. Sì, ero valetudinario,
quando ho scritto questi versi, seguendo l’onda così travolgente della rima, ma
reinterpretando un po’ la spinta a seguire il “capitano, mio capitano”, visto
che era un po’ all’italiana, se poi lo si saluta “di lontano” e in più “con il
piede o con la mano”. Sì, dai, è la solita questione del vecchio “armiamoci e
partite”. Ma anche se ero valetudinario, e non ho potuto tralasciare il caro
Leopardi che parla “del formidabil monte / sterminator Vesevo” (“La Ginestra”,
2-3), sulla cui arida sponda cresce “il fiore del deserto”. Comunque va bene,
se a distanza di tempo la convalescenza si è risolta e io continuo a salutare
con un certo distacco il “capitano, mio capitano”.
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Ho condiviso con molto piacere questi bellissimi versi. Grazie.
RispondiEliminaTi ringrazio, Marisa, di questo bel pensiero, che è la condivisione: credo, infatti, che la poesia aiuti a costruire ponti, anche virtuali, ma pur sempre ponti.
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