lunedì 26 febbraio 2018

Rosa rosae

Rosa, ti declinai nell’illusione
che saresti rimasta imperitura
più dell’eternità della flessione,
di quell’antica lingua così pura;

rosa, ti ricercai in ogni versione
col gusto estremo, con l’arcana cura
di chi voleva solo cose buone
in un’età di gioia e di paura;

rosa, scoperta allora, poi smarrita
non mi ricordo più nemmeno come,
rivista come immagine sbiadita

tra tante avversità, tra tante some
inutili di questa nostra vita,
rosa, di mille rose ombra di un nome.

Casalecchio di Reno (Bologna), 26 Febbraio 2018


Mi è capitato negli ultimi giorni, ovviamente per caso, di parlare con persone diverse del mio rapporto col latino. Sì, è vero, dico per caso, ma deve essere proprio che quest’argomento mi sta particolarmente a cuore, se ne parlo spesso. Il latino… ho sempre detto e ripetuto che per me è una lingua magica, perché fin da quando ero bambino m'emoziona. È irrazionale, certo, tant’è vero che non sono capace di spiegarne i motivi; eppure, la sento come lingua dell’anima. Ha un che di arcano, quasi ancestrale, che rasenta l’immortalità, immutabile ormai da millenni; proprio in quanto lingua morta, non può più morire, non è più soggetta alla caducità e alla corruzione. Non so, è come la musica che entra nel cuore, che sa di buono e dolce, che non si dimentica e anzi fa ricordare quello che non si ha più, quello che non si è più. Il latino mi riporta a quel passato senza tempo, un po’ come le favole, che è difficile collocare precisamente nel dove e nel quando.
A tutto ciò s’aggiunge che vivo, mio malgrado, in un’epoca in cui il latino non è più il rifugio sicuro dall’ansia del tempo che fugge, non è più la lingua dell’eternità. Già, il latino non è più la lingua sacra che mi sento risuonare dentro. No, ripeto, non è un moto nostalgico degli studi liceali o universitari: è qualche cosa che mi viene da prima, che avvertivo senza saperlo, che mi proiettava in quella dimensione senza limiti temporali o confini spaziali. Il latino è l’eco della mia voce. Non so se riesco a farmi capire, se anche a scuola passa questo concetto. Ma poi non importa: gli studenti, questa volta, non c’entrano sul serio.
Con pochi poeti riesco ad avvertire qualche cosa di simile, e mi riferisco a Pascoli in particolare, Virgilio e Orazio, Dante ovviamente e Petrarca, e poi Ariosto e Tasso. Oh, diciamolo pure: nessuno è perfetto. Ma forse sono semplicemente nato nel momento sbagliato. Ma il latino continua a esistere lo stesso…
Accidenti, mi rendo conto solo ora che volevo parlare anche della rosa, quella rosa con cui sono stato fotografato quest’estate. Chissà poi perché i grammatici hanno scelto proprio la rosa per insegnare la prima declinazione. Anche Marino Moretti le aveva dedicato bellissimi versi di malinconia, Rosa della grammatica latina. Insomma, dovorò proprio tornare su questo fiore e sulle sue trasposizioni poetiche.

Copyright foto e testi (C) Federico Cinti 2018

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