lunedì 23 luglio 2018

E dopo tutto

E non mi sembra d’essere più io
quello che adesso ascolto, che riascolto
dalla conchiglia, come il mormorio
cupo del vecchio porto in noi sepolto,


piccolo specchio d’acqua virtuale
su cui spiegare libere le vele
della mia fantasia, quasi ancestrale
richiamo, anzi incantesimo crudele


del canto delle mitiche sirene,
per l’inaccessa immensità del mare
alla ricerca, a volte, di quel bene
che si ricerca e non si sa trovare.


e mi riascolto, pronto sul sentiero
d’un altro interminabile miraggio
a seguire la linea del mistero
che conduce alla meta del mio viaggio.


Casalecchio di Reno (Bologna), 23 luglio 2018



Esiste una così profonda, misteriosa unità nella natura che è impossibile scindere i diversi ambiti, anche se oggi tutto è a tal punto parcellizzato che il mosaico non sembra più ricomponibile senza creare assurde mostruosità. Eppure c'è un modo per oltrepassare l'inganno, per gettare il cuore al di là dell'ostacolo, di quella siepe che separa e congiunge il mondo del finito a quello dell'infinito: è lo sguardo dei poeti, dei letterati o, se si vuole, degli artisti in generale, che ha la capacità di concretizzare il pensiero in immagini, le idee in rappresentazioni immediatamente evidenti. Immagini, idee, evidenze rimandano tutte alla dimensione visionaria di accedere direttamente all'assoluto, a ciò che è al di fuori dello spazio e del tempo. Nel percorrere i sentieri della storia, dei racconti, dei poemi ritroviamo noi stessi, per dirla con le parole di Giovanni Pascoli «come in conchiglia murmure di mare». Tutto è contenuto nell'incantato suono che salva o perde, che avvicina o allontana. Oggi la nostra piccola «conchiglia», il nostro piccolo «mare» di cristalli liquidi lo abbiamo sempre con noi, in mano, davanti ai nostri occhi, ai nostri orecchi: è il cellulare, lo smartphone, in cui rischiamo di annegare il mondo reale per un universo virtuale, inconsistente. La poesia ci aveva già avvertito di questo nel mito di Narciso, che si specchia, si conosce e si perde, nel mito di Ulisse, che percorre le immense vie del mare color del vino e fino alle estreme propaggini del mondo naviga «per seguir virtute e canoscenza». Ed è così che riemergono le nostre più arcane profondità dal «porto sepolto», dove sta una città conservata solo nella memoria, come quelle che ci sono, ma non vediamo, abitiamo, ma non sappiamo, «invisibili» per definizione, come afferma calvino nelle sue «Città invisibili», noi al loro e loro a noi. Per questo continuo a rivedere il video della mia ultima tappa al «Giardino poetico» e mi ritrovo e mi riperdo ogni volta, come se non fossi io, se l'io che parla fosse un altro. Ma è la fascinazione di non potersi bagnare due volte nello stesso fiume, per riprendere Eraclito. Ma «il vento passa, e passano le stelle» e tutto continua eternamente a tendere al giardino che abbiamo lasciato incustodito, il giardino dell'Eden per cui siamo stati creati. Abbiamo ali per volare al di là del «rovente muro d'orto», per immergerci di nuovo nel «palpitare / lontano di scaglie di mare», nel flusso senza sosta della vita, della vera vita. E io continuo a ripercorrere con tutti i sensi il mio viaggio attraverso quel che mi resta e ogni volta conosco dettagli diversi, sempre stati lì, ma mai debitamente osservati e analizzati. Il mondo è in noi e noi siamo nel mondo: basta aprirsi un po' e tutto appare per quello che è. Il passo è breve per cogliere di nuovo i frutti più belli della natura. Fantasia, facoltà immaginativa, stupore: nulla può fermare la nostra sete di conoscenza, nella consapevolezza dantesca che non siamo soli e che il percorso va compiuto nel giusto modo: non siamo soli e non dobbiamo restare da soli in questo viaggio.


Copyright testi e video (C) Federico Cinti 2018



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