giovedì 19 luglio 2018

Lungo la via

Sapere che sei qui, ma di passaggio,
simile al più solerte pellegrino
per la sua lunga via, per l’arduo viaggio,


comunque andare, pur nella fatica
di tutti i giorni, compiere il cammino
verso il traguardo della casa amica


dove trovare infine quanto spera
il cuore dopo tanto sospirare,
addolcisce il pensiero della sera
in cui ogni cosa chiaramente appare.


Casalecchio di Reno (Bologna), 3 maggio 2017


Non mi pare certo marginale che, dal mondo antico a oggi, insomma da sempre, il mare sia il simbolo dell'infinito. Non a caso Leopardi termina uno dei suoi più famosi idilli, "L'infinito", con la parola «mare», anzi con il dolce naufragio nel «mare» dell'infinito. La sua è una vera e propria esperienza sensibile, fatta oltrepassando un sipario naturale, la «siepe» che costeggia il cammino per giungere al Colle chiamato Tabor, come quello in cui Gesù si trasfigura davanti ai suoi. 

La dimensione dell'infinito è quella cui l'uomo tende naturalmente, pur riconoscendosi essere finito, limitato. Ma è una tensione che lo spinge sempre al di là, sempre oltre, alla conquista di quel che non ha per soddisfare il suo piacere. Beh, è quello che descrive poi Pascoli in "Alèxandros", uno dei suoi più bei "Poemetti conviviali", in cui il protagonista, Alessandro Magno, che aveva conquistato tutto il mondo allora conosciuto, non pago delle sue imprese, rimira la luna perché gli manca solo quella da conquistare. Ma se fosse giunto sulla luna, come noi nel 1969, si sarebbe poi accontentato o avrebbe guardato più in là, ancora oltre? La fuga verso l'ignoto e l'infinito, con il conseguente abbandono di tutto quel che si ha di più caro, perché tutto va sacrificato a questo delirio di onnipotenza, non può che generare insoddisfazione, delusione e rimpianto. 

Credo che sia quel che capita oggi a chi tenta di dominare, più di un nuovo Adamo, la natura: ne possiede tutti i segreti, ma si spinge fine alla distruzione di tutto, perché gli manca la chiave del senso. Ecco, così Olimpiade, la madre di Alessandro, entra attraverso la visione e il sogno nella realtà più vera, nascosta dietro le cose e le voci degli alberi, dei fiumi, 
del vento, e ne coglie l'intima essenza. 

Ma il Novecento allarga la frattura e il «mare» è sempre al di là, questa volta di «un rovente muro d'orto», nel momento più caldo dell'estate e del giorno estivo. Sì, il «mare» è sempre là, ma rimane una visione riservata a pochi e inaccessibile a tutti, perché è sì un prodigio, ma destinata alla «divina indifferenza». E così quel muro diventa «muraglia» invalicabile, «che in cima ha cocci aguzzi di bottiglia», come il grande muro di una prigione da cui non si può scappare, perché non c'è speranza di salvezza, come nelle nostre città, invisibili agli uomini e in cui gli uomini restano invisibili, perché non hanno più nulla di umano da vivere nell'artificio da loro creato. 

Beh, di tutte queste cose avrei voluto parlare al "Giardino poetico" il 20-21 luglio, in via Giuseppe cesare Abba 6a, a Bologna (alle 18:30 per i ragazzi e alle 21:00 per tutti). Certo, qui lo spazio è limitato e angusto, ma nel nostro bel giardino interminato e infinito, come il nostro tanto citato «mare», mi prodigherò in riflessioni più lunghe e articolate, magari con l'aiuto della gente presente, come è capitato, in momenti di dialogo e conversazione molto avvincenti.. Insomma, non si può mancare...

Copyright (C) Federico Cinti 2018
Foto di EN

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