lunedì 16 luglio 2018

Il folle volo e l'umile cammino. Sulle orme di Dante nel Giardino poetico

Là, dove terminava quella valle,
dove la via si trasformava in punto,
quella da fare e quella alle mie spalle,


nel cupo informe dentro cui ero giunto
alla soglia del limite infinito,
sentii il mio cuore fragile compunto,


e mi trovai in un attimo smarrito,
pieno di sonno, pieno di paura,
mentre dintorno tutto era sparito.


Era un mare vastissimo, un’altura
bruna per il colore nel profondo,
era l’anima umana imperitura


nel suo delirio d’essere nel mondo
il senso onnipotente che ricrea
la realtà col suo spirito fecondo,


per la scintilla accesa dell’idea
che allaga il proprio io d’onnipotenza
ondeggiando qua e là come marea.


Qualcuno mi parlò di conoscenza,
mi parlò di virtù, d’un folle volo
lungo l’eterna via dell’esistenza,


e da quel mare egli scrutava il suolo
l’onda che poi si frange sulla riva,
ed era un uomo grande, un uomo solo:


una piccola ciurma lo seguiva
sino alla fine, sino a che il cammino
tra loro non lasciò persona viva.


e mi vidi in quell’attimo piccino,
disarmato davanti alla mia sorte,
abbandonato e solo al mio destino,


in attesa di giungere alla morte
senza capire nulla di quel giorno,
triste però per la mia triste sorte,


quando mi vidi un altro uomo intorno,
che mi prese per mano con dolcezza
di fratello, indicandomi il ritorno,


e scoprii che per tutti c’è salvezza.

Casalecchio di Reno (Bologna), 16 luglio 2018

E tutto a un tratto ho avuto l'impressione, mentre leggevo al "Giardino poetico" (di cui a trovate qui sotto il video completo) la vicenda di Ulisse, per come la canta Dante in Inf. XXVI, che lo spazio di fronte a me s'allargasse all'infinito, in un vastissimo mare, impossibile a cogliersi a colpo d'occhio, quasi mi trovassi sul promontorio dei secoli a scrutare l'azzurra immensità dell'essere. Non più confini nel lago del mio cuore, non più limiti nel pelago infinito del viaggio dell'uomo e della sua conoscenza, cui è chiamato per creazione e per virtù intrinseca. E in fondo in fondo la montagna altissima, tanto quanto nessuna, la meta del mio percorso. Eppure no, non è questa la via da percorrere: così mi sono sentito ripetere ai ventricoli del cuore. Un'altra via, con ben altro ardore, con ben altra compagnia. «Da me stesso non vegno» mi ripeteva Dante, che prima di me si era trovato a scrutare fino all'orizzonte, perché da soli non ci si salva, perché tutto è disposto alla salvezza dell'uomo e dell'umanità. Monito antico quello di non cogliere dall'albero della conoscenza del bene e del male, monito antico quello di fidarsi e affidarsi alla propria natura limitata per trovare la via senza fine che giunge all'assoluto. e quel mare si è fatto volto, presenza di chi accompagna lungo il cammino della nostra vita, si è fatta senso, quel senso che oggi si stenta a trovare nelle cose e nelle persone. E tutto mi è stato chiaro, tutto è stato chiaro agli spettatori che avevano ripercorso assieme a me quella via così consolatoria, anche se così difficile da accettare.

Copyright (C) Federico Cinti 2018






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