Al vedere Gesù, che è presentato
al Tempio con fervente devozione
come la legge aveva comandato
ai servi del signore, Simeone,
uomo pio, uomo giusto, illuminato
nell'intimo del cuore dall'azione
dello spirito, afferma che ha incontrato
chi sarà segno di contraddizione,
perché è la via, la verità, la vita
più illuminante della stella sorta
a indicare la strada ormai smarrita
nell'anima, perché è la sola porta
dell'autentico ovile, entrata e uscita
nella nostra esistenza un po' contorta.
Casalecchio di Reno (Bologna), 31 dicembre 2017
Mi ha colpito molto delle letture di oggi il Vangelo, in cui si parla della presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme, come prescriveva la legge mosaica, e mi ha colpito molto il fatto che Dio, che sul Sinai dà la legge, si sottomette incarnandosi alla sua stessa legge per portarla a compimento. Certo, questa ricorrenza la celebreremo il 2 febbraio, festa della presentazione, nel giorno che chiamiamo candelora. Anche papa Francesco, nell'omelia di oggi, ha fatto un'esegesi dell'episodio che ha spalancato in me molte porte, perché spiega che nella santa famiglia Maria, giuseppe e Gesù compiono lo stesso percorso di crescita, non solo corporale, ma soprattutto di grazia. E ricorda ancora che esiste una giovinezza spirituale che è esemplificata da due anziani, la profetessa Anna e il vecchio Simeone. Ed è proprio Simeone ad affermare che il bimbo che incontra e che tiene tra le braccia sarà segno di contraddizione per molti. A tal proposito il pontefice chiosa che la contraddizione sta nel fatto che Gesù è venuto per contraddire le certezze mondane su cui ci appoggiamo. Insomma, forse è meglio riproporre direttamente le parole di Francesco (clicca sul link).
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Andrea Mantegna, Presentazione al Tempio, 1455
domenica 31 dicembre 2017
La Sacra Famiglia
la Vergine Maria fissa suo figlio
e medita ogni cosa nel suo cuore;
Giuseppe il giusto, in umile preghiera,
contempla innanzi a sé la rosa e il giglio,
preannuncio in terra di letizia vera;
il piccolo Gesù dalla sua culla,
sorridendo con dolce meraviglia,
li guarda entrambi, l’uomo e la fanciulla,
e stringe attorno a sé la sua famiglia.
Casalecchio di Reno (Bologna),
31 dicembre 2017
Nella domenica dell'ottava di Natale, che è poi quella di oggi, ci è presentata l'unità perfetta della famiglia di Nazareth, dei genitori che adempiono il precetto presentando il figlio primogenito appena nato al tempio, come dono al Signore e per il Signore. Essere parte di una storia, obbedire a un precetto non umano, ma divino, essere membra vive di un popolo che riconosce se stesso nella siepe che lo circonda e lo protegge, nel solco della propria eredità, mentre la tensione o - per dirla con Simeone - la contraddizione è di andare al di là, oltre il limite, il confine, senza fidarsi e affidarsi. Questo mi lascia intravedere l'insegnamento della Sacra famiglia. Non è una strada agevole, non è una via semplice; eppure, per essere gli uomini che Dio ama, bisogna percorrere proprio quel cammino di purificazione.
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Juan Simón Gutiérrez (1634-1718), La Sacra Famiglia, olio su tela
sabato 30 dicembre 2017
Nel rivolgermi indietro
di ieri il sole tiepido nel gelo
di questo inverno limpido, l’aroma
di non so quanti più caffè, del cielo
senza nuvole, come mi spiegava
di tanto in tanto fiero il caro amico
Massimiliano, che m’accompagnava,
che accompagnava un lieto Federico
nei suoi luoghi; nell’anima ho il sapore
intenso dei carciofi alla giudia
di quella carbonara dall’odore
superiore a qualsiasi fantasia,
le fragoline con lo zabaione
dolce come la languida carezza
del tramonto, di mille cose buone
di cui si percepisce la certezza,
come dono da mettere sul petto
a chi ci sta vicino, a chi si tiene,
con gesto delicato, con affetto,
a chi naturalmente si vuol bene.
Casalecchio di Reno (Bologna), 30 dicembre 2017
Eppure ieri Massimiliano, il mio amico, ha voluto cambiare itinerario, per farmi scoprire nuovi angoli della Città Eterna. Sì, da Ciro siamo passati, baci e abbracci di rito, per non trascurare alcun dettaglio della consuetudine; ma poi abbiamo scantonato poco più in là, alla Pollarola: dovevo assolutamente assaggiare i carciofi alla giudia e gli spaghetti alla carbonara, per non parlare delle fragoline con lo zabaione. Che dire? Un'ebbrezza che mi porto ancora addosso. Al Pantheon c'eravamo già fermati, il pomeriggio aveva ancora da venire.
Dopo aver soddisfatto l'imcombenza per cui ero colà, mi ha condotto in piazza Barberini, quando già il tramonto imporporava come un sorriso l'Urbe delle mie versioni ginnasiali e liceali. Mi è tornato alla memoria, si parva licet componere magnis, il verso di Carducci che recita: "il desiderio vano della bellezza antica" ("Nella piazza di san Petronio", 20). Certo, il leone maremmano lo riferisce alla mia Bologna, ma Roma resta sempre uno splendido connubio d'antico e contemporaneo: avrà poi ragione Pirandello ad affermare che la nostra capitale si sia trasformata da acquasantiera in posacenere? Non lo so, ma penso di no...
Copyright foto e testi (C) Federico Cinti 2017
venerdì 29 dicembre 2017
Nel mio viaggio a Roma
qualsiasi
sia la mia destinazione,
il motivo
impellente dell’andare
e anche
la compagnia delle persone,
per quel
volgermi indietro a riguardare
quel che
resta nel cuore, l’emozione
per
quello che ho lasciato nel passare
tra mille
cose nuove, cose buone,
per non
essere là dove vorrei
essere o
non più essere, capire
che non
quello che hai, ma quel che sei
è
importante e ogni volta riscoprire
che
quello che mi manca è solo lei,
se odio
tornare e odio ripartire.
Bologna-Roma, 29 dicembre 2017
Bologna-Roma, 29 dicembre 2017
Roma, un viaggio incredibile: erano anni, mi pare tre, che non ci andavo. Roma. C'è il mio amico fraterno Massimiliano che mi aspetta sempre a braccia aperte: lo conobbi ormai quasi un quarto di secolo fa, a Gela, durante una gara di traduzione dal greco di Eschilo. Insomma, un'amicizia lunga e significativa. Roma: questa volta m'attendeva un'incombenza particolare. Anzi, non so nemmeno se si possa chiamare così. Insomma, dovevo fare un regalo a una persona speciale e ho preso la Freccia Rossa. Ottimo treno, non c'è che dire, rapido, comodo, dinamico per andare a Roma. Ci sarei stato anche di più, di più d'un giorno dico, ma poi viaggiare non mi piace, almeno da solo, sempre con l'idea che devo tornare, che voglio tornare, anche perché a casa c'è la mamma che mi aspetta.
Roma... le tappe obbligate le conosciamo, quelle cui non voglio mai sottrarmi: il Pantheon, lì dai tempi di Augusto e rifatto da Adriano, con quella sfera perfetta inserita nel cubo; ...
...piazza San Pietro con la maestà del Cupolone, tanto per citare Venditti, che non fa mai male, ...
... e infine Ciro, il mio pizzaiolo di fiducia, tra via Mercede e piazza san Silvestro, quello della pizza migliore, almeno per il mio semplice gusto raffinato. Roma, eppure ho questo presentimento, la prossima volta non torno da solo...
Copyright testi e foto (C) Federico Cinti 2017
giovedì 28 dicembre 2017
Al mio bar
Per antica abitudine di vita,
mentre quest’anno lentamente muore
pure sul Reno con malinconia,
mi sono ritrovato al Margherita
non so più quanto, forse un paio d’ore,
con Gabriele a dire anch’io la mia,
mentre il portico attonito dal vetro
ci sembrava un informe ammasso tetro.
Casalecchio di Reno (Bologna), 28 dicembre 2017
Quando Gab, il mio amico giornalista, che poi si chiama Gabriele Mignardi, mi ha chiesto: "Allora questo caffè: va bene giovedì?", io gli ho risposto di sì, alle dieci e mezza. Era scontato che fosse al Caffè Margherita. Ci siamo trovati là, come sempre, anche se io sono arrivato un minuto prima e lui sei minuti dopo. Ci sta, va bene, si fa così: mi posso forse lamentare? Mi sono sistemato nel mio angolino, sul lato sinistro, con le spalle al muro e il vetro di lato.
"Che cosa prendi?", mi ha chiesto. Ero tentato di dire il solito, ma sarebbe stata una risposta scontata.
"Un caffè macchiato e una brioche piccola piccola e vuota vuota", e ho sottolineato molto "piccola piccola". Mi ha copiato.
Cinzia, l'egregia barista, mi ha anche fatto l'estrema cortesia di farmi il caffè nella tazzina quadrata: erano anni, ormai, che glielo chiedevo, ma solo ora mi ha accontentato, ora che ho smesso di chiederglielo.
Poi niente, si è stati lì, a parlare di tutto (e pure di niente), come si fa tra amici. Mi ha portato in dono il lunario casalecchiese (per saperne di più, clicca sul link), cui ho posto sopra gli occhiali, come chi ha fatto finta di leggerlo.
Copyright testi e foto (C) Federico Cinti 2017
La strage degli innocenti
Nella strage dei piccoli innocenti,
di cui oggi la Chiesa fa memoria,
traspaiono le azioni indifferenti
degli uomini assetati di una gloria
effimera, il delirio dei potenti
pieni di vanità, colmi di boria,
avvezzi ai più terribili tormenti
pur di lasciare il segno nella storia,
mentre il circo del mondo si diletta
senza fermarsi mai, senza dolore,
nella sua lieta immagine perfetta,
ma lotta ancora, spera con amore
l'umanità che fiduciosa aspetta
la salvezza del proprio Redentore.
Casalecchio di Reno (Bologna),
28 dicembre 2017
Giunta la sera, un po' come Machiavelli al confino all'Albergaccio, mi ritiro un po' a leggere, a meditare e a dialogare coi testi che la tradizione ci ha lasciato in eredità. In questi giorni, stanti le feste natalizie, mi dedico molto alle letture evangeliche che la liturgia con grande sapienza ci propone e devo dire che difficilmente resto sordo alla loro voce, alla loro lezione. Una pagina come quella della strage degli innocenti, in cui il re Erode il Grande decide di sacrificare tutti i bimbi per evitare che il nuovo, vero, unico re d'Israele possa crescere e spodestarlo, è di un'attualità sconcertante. Il potere, che spesso si trasforma in delirio di potenza (se non prepotenza), è la mano dell'uomo che, invece di aiutare gli altri, li vessa e li schiaccia con divertita e giustificata indifferenza. Eppure, come Maria proclama nel "Magnificat", il Signore "ha deposto i potenti dai troni e ha innalzato gli umili". Anche davanti all'orrore, alla sopraffazione dissennata, alla follia degli uomini occorre essere fiduciosi di questo, che siamo guidati a rinnovare il mondo nella nostra qualità di operatori di pace.
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Guido Reni, La strage degli Innocenti (1611-1612), olio su tela, Bologna, Pinacoteca Nazionale
di cui oggi la Chiesa fa memoria,
traspaiono le azioni indifferenti
degli uomini assetati di una gloria
effimera, il delirio dei potenti
pieni di vanità, colmi di boria,
avvezzi ai più terribili tormenti
pur di lasciare il segno nella storia,
mentre il circo del mondo si diletta
senza fermarsi mai, senza dolore,
nella sua lieta immagine perfetta,
ma lotta ancora, spera con amore
l'umanità che fiduciosa aspetta
la salvezza del proprio Redentore.
Casalecchio di Reno (Bologna),
28 dicembre 2017
Giunta la sera, un po' come Machiavelli al confino all'Albergaccio, mi ritiro un po' a leggere, a meditare e a dialogare coi testi che la tradizione ci ha lasciato in eredità. In questi giorni, stanti le feste natalizie, mi dedico molto alle letture evangeliche che la liturgia con grande sapienza ci propone e devo dire che difficilmente resto sordo alla loro voce, alla loro lezione. Una pagina come quella della strage degli innocenti, in cui il re Erode il Grande decide di sacrificare tutti i bimbi per evitare che il nuovo, vero, unico re d'Israele possa crescere e spodestarlo, è di un'attualità sconcertante. Il potere, che spesso si trasforma in delirio di potenza (se non prepotenza), è la mano dell'uomo che, invece di aiutare gli altri, li vessa e li schiaccia con divertita e giustificata indifferenza. Eppure, come Maria proclama nel "Magnificat", il Signore "ha deposto i potenti dai troni e ha innalzato gli umili". Anche davanti all'orrore, alla sopraffazione dissennata, alla follia degli uomini occorre essere fiduciosi di questo, che siamo guidati a rinnovare il mondo nella nostra qualità di operatori di pace.
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Guido Reni, La strage degli Innocenti (1611-1612), olio su tela, Bologna, Pinacoteca Nazionale
mercoledì 27 dicembre 2017
Addio, Valeria
È arrivato l'inverno, quello vero,
quello più tetro, immobile, severo,
a inaridire l'anima incolore,
è arrivato l'inverno, quello austero
di bruma greve, fissa nel grigiore,
a scavare un silenzio nel mistero
col suo infinito, gelido rigore,
e tu non ridi più, non hai provviste
per i prossimi giorni di miseria,
sola in questo tuo estremo viaggio triste,
in questa vita a volte poco seria
agli sguardi indiscreti di chi assiste
senza vedere, incredulo, Valeria.
Casalecchio di Reno (Bologna), 27 dicembre
2016
L'anno scorso è mancata la bidella del nostro liceo, Valeria.
...E un anno è già passato, un anno intero, Valeria, da che ci hai salutato in modo così discreto, silenzioso, tutto tuo. Ricordo che ero malato, avevo l'influenza, un malessere che non capivo bene da che cosa mi venisse. Poi la notizia, improvvisa, gelida, simile a un colpo nella carne viva. E tu non c'eri più. Ti ricordo sorridente mentre parlavi con mia mamma, l'estate, di ricette di cucina, o quando rispondevi al telefono della succursale del nostro liceo. Valeria, più che una collega in servizio nella scuola ti ho sempre considerata un'amica, perché non facevi differenze tra docenti e personale non docente. Per te la sincerità era tutto e così ti voglio ricordare, col tuo saluto franco e libero sulla soglia della scuola. Arrivederci, Valeria...
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Project 366 #66: 060312 A Fickle Temptress, Pete, Flickr
A San Giovanni Apostolo
Sei chi posò la testa sopra il cuore
del Maestro, tua unica difesa,
sei il discepolo amato dal Signore,
l'aquila, la colonna della Chiesa,
sei l'Apostolo, il santo Narratore
dei segni di Gesù, della sua attesa
fiduciosa sul limite delle ore
fino all'estremità, fino alla resa
dell'ultimo nemico, della morte,
Giovanni, che ci illumini paziente
con la tua vita, aprendoci le porte
al Mistero, teologo sapiente
di verità, ora assiso nella corte
del cielo come santo eternamente.
Casalecchio di Reno (Bologna),
27 dicembre 2017
Nel giorno dedicato all’Apostolo Giovanni la mia memoria non può che correre alle letture bibliche che l’amico don Francesco, ogni martedì sera, dedica proprio al quarto Vangelo. Ci troviamo nella deliziosa “sala Bologna” (così chiamata per le stampe appese alle pareti) della parrocchia di Santa Maria Annunziata di Fossolo in Bologna, una delle chiese più antiche della diocesi felsinea. In tali incontri il sommo esegeta (lo dico con ironia, per prenderlo un po’ in giro, ma devo ammettere con ammirazione che è davvero bravo) sviscera da par suo il testo evangelico con dottrina intrisa di profonda fede. Certo, non si può sostenere (Francesco almeno non lo farebbe nemmeno sotto tortura) che l’autore sacro sia Giovanni, il discepolo che Gesù amava, il figlio del tuono e ovviamente di Zebedeo, una delle colonne della Chiesa (Gal 2, 9), il teologo, colui che posò la testa sul petto, ma soprattutto l’Evangelista. Non si può dire, perché non è per nulla certo: è solo una tradizione tarda, dettata dalla devozione. Insomma, ci si accontenta – almeno io m’accontento – di approfondire quelle pagine magnifiche di rivelazione, di fede illuminante, assieme a un raffinato e sensibile studioso. Altrimenti? Beh, sarebbe l’Apocalisse…
del Maestro, tua unica difesa,
sei il discepolo amato dal Signore,
l'aquila, la colonna della Chiesa,
sei l'Apostolo, il santo Narratore
dei segni di Gesù, della sua attesa
fiduciosa sul limite delle ore
fino all'estremità, fino alla resa
dell'ultimo nemico, della morte,
Giovanni, che ci illumini paziente
con la tua vita, aprendoci le porte
al Mistero, teologo sapiente
di verità, ora assiso nella corte
del cielo come santo eternamente.
Casalecchio di Reno (Bologna),
27 dicembre 2017
Nel giorno dedicato all’Apostolo Giovanni la mia memoria non può che correre alle letture bibliche che l’amico don Francesco, ogni martedì sera, dedica proprio al quarto Vangelo. Ci troviamo nella deliziosa “sala Bologna” (così chiamata per le stampe appese alle pareti) della parrocchia di Santa Maria Annunziata di Fossolo in Bologna, una delle chiese più antiche della diocesi felsinea. In tali incontri il sommo esegeta (lo dico con ironia, per prenderlo un po’ in giro, ma devo ammettere con ammirazione che è davvero bravo) sviscera da par suo il testo evangelico con dottrina intrisa di profonda fede. Certo, non si può sostenere (Francesco almeno non lo farebbe nemmeno sotto tortura) che l’autore sacro sia Giovanni, il discepolo che Gesù amava, il figlio del tuono e ovviamente di Zebedeo, una delle colonne della Chiesa (Gal 2, 9), il teologo, colui che posò la testa sul petto, ma soprattutto l’Evangelista. Non si può dire, perché non è per nulla certo: è solo una tradizione tarda, dettata dalla devozione. Insomma, ci si accontenta – almeno io m’accontento – di approfondire quelle pagine magnifiche di rivelazione, di fede illuminante, assieme a un raffinato e sensibile studioso. Altrimenti? Beh, sarebbe l’Apocalisse…
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Giovanni nell'isola di Patmo, miniatura di Jean Fouquet (circa (1452-1460)
martedì 26 dicembre 2017
I giorni di Natale
buono di quelle cose di una volta
la cui memoria fragile, incolore,
rimane dentro l’anima sepolta,
come fuori del tempo, hanno il sapore
dolce-amaro di vita un po’ raccolta
non si sa dove, in fondo in fondo al cuore,
simile
al canto lieto che s’ascolta
solo in quei giorni, hanno la nostalgia
di chi ora non c’è più, di chi è lontano
o si è forse smarrito per la via,
hanno il profumo soavemente vano
di non si sa più che malinconia
tornata ancora a prenderci per mano.
Casalecchio di Reno (Bologna), 26 dicembre 2017
Che giorni strani, però, quelli di Natale: il freddo, il grigio, le corse per la chiusura dell'anno. E poi la magia della festa, l'incanto del presepe nel suo silenzioso raccoglimento, l'albero nelle sue luci e nei suoi colori. Quando si è piccoli, boh... tutto è così, tutto è normale: la festa, i regali, le riunioni di famiglia: è un momento che non si vede l'ora che arrivi. Anche adesso è così, ma in modo diverso, in modo più vero: è una ricerca di quei sapori, di quei colori, di quelle atmosfere... insomma, il Natale sa sempre di dolcezza languida, di ritorno a un luogo senza tempo, d'infinito abbandonarsi agli affetti. Certo, un po' di malinconia viene, almeno a me viene, al pensiero di chi non è più presente, ma ancora resisto e attendo che si ripeta l'incantesimo. E poi i canti natalizi: non so dire se siano belli di per sé o perché siano natalizi. Non so, mi piacciono e tanto basta! Davvero ogni volta è un rinascere a vita nuova, è un ritrovare lo spirito che si era smarrito o addormentato sotto le beghe degli adulti, inutilmente impegnati in cose assurde, in lotte sterili, discussioni e questioni senza senso. Beh, per un po', finché si può, anch'io - per dirla con Ungaretti - mi metto al caldo buono con le quattro capriole di fumo del focolare...
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Malene Thyssen, A Danish Christmas tree, Opera propria, Wikipedia
A Santo Stefano
Primo martire, ardente testimone
della fede nell'unico Signore
dell'Universo fino all'effusione
del tuo sangue, a imitare il Redentore,
nel cui mistero dall'incarnazione
già ti aveva chiamato con amore
al servizio dei poveri, all'unione
con la sua Chiesa in umiltà di cuore,
Stefano, degnamente incoronato
dell'eroica virtù del Paradiso
che dando la tua vita hai meritato,
dal tuo Gesù non sarai mai diviso,
dopo esserti per lui sacrificato,
in eterno godendone il sorriso.
Casalecchio di Reno (Bologna), 26 dicembre
2017
Eppure, oggi non è come pare a molti il giorno dopo Natale: è semplicemente la continuazione del tempo di Natale, in cui si ricorda Stefano, primo testimone della fede, coronato - come dice il nome - della gloria della verità, che lo ha reso libero dai contorcimenti mentali degli uomini. Insomma, oggi non è solo il giorno degli avanzi, come diciamo a casa, anche se poi si mangia uguale a ieri o anche meglio di ieri, perché la compagnia dei familiari e la condivisione è sempre la stessa; ma oggi è un giorno speciale, è il giorno del nostro esserci per gli altri. Ci tengo, quindi, ad augurare a tutti i miei amici, a chi conosco e anche a chi non conosco gli auguri di un buon onomastico, di un buon Santo Stefano.
Copyright (C) Federico Cinti
Immagine: Pietro da Cortona, Martirio di Santo Stefano, (1660), Museo dell'Ermitage)
lunedì 25 dicembre 2017
La gioia dentro la notte cupa
del mondo già da tempo addormentato,
assorta nel silenzio, una fanciulla,
meditando il Mistero a lei svelato,
contempla il suo Signore nella culla
dove sorride un bimbo appena nato,
la cui gioia ineffabile trastulla
il cuore inutilmente preoccupato,
e un uomo veglia sulla sua famiglia
in quell'attimo eterno di stupore,
preso com'è da santa meraviglia,
finché non giunge là qualche pastore,
dopo avere percorso molte miglia,
seguendo della stella lo splendore.
Casalecchio di Reno (Bologna), 25 dicembre
2017
Il silenzio di Maria, che medita tutto quello che le avviene intorno, è uno stupore contemplativo dinanzi al mistero dell'incarnazione, di cui è partecipe. Allora, veramente questo è il giorno della luce che squarcia il buio, quelle tenebre che non possono più vincerla. Anche Giuseppe veglia nel raccoglimento e i pastori annunciano il miracolo che continuamente si compie: la pace è nel più alto dei cieli e in terra si è donata agli uomini che Dio ama. I pastori proclamano le cose incredibili che hanno trovato, quando il signore li ha incontrati nella sua fragile forza di bambino. Questa è forse la sublimità del Natale, seguire la stella che porta silenziosa alla fiducia di avere il centuplo quaggiù e l'eternità.
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: La nascita di Gesù in un dipinto di Guido Reni (1630-1642)
Natività
furono
presi da grande spavento,
in
quella notte chiara di bagliori,
in
quella notte dolce, senza vento,
e
sentirono pieni i loro cuori
di
gioia, ognuno si sentì contento,
udendo
l’armonia di tutti i cori
del
cielo che cantavano all’evento:
andarono,
trovarono la culla
in
cui c’era il bambino appena nato
con
sua madre, la Vergine fanciulla,
e
con sé non avevano portato,
oltre
al canto degli angeli, più nulla,
ma ognuno era in cuor suo pacificato.
Casalecchio di Reno (Bologna), 25 dicembre 2017
Dopo la notte, così intensa di raccoglimento, così colma di stupore nella luce abbagliante che squarcia le tenebre, perché il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora dentro di noi, in mezzo a noi, mentre la madre e Giuseppe rimirano nel silenzio tutto quello che è avvenuto attorno a loro, all'aurora la liturgia propone il sopraggiungere dei pastori, gli ultimi del mondo. Il canto dell'Angelo rivela l'annuncio di gioia che non lascia indifferenti. Non si può restare a casa, bisogna andare, muoversi, partire: tra noi e il Bambino che è nato si crea un rapporto dinamico, che non è forza o potenza, ma amore, è un atto di volontà dell'animo. C'è un canto che facevamo anche noi col coro, molto bello, che qui (clicca sul link) ripropongo in una versione purtroppo non nostra.
Ecco, sono proprio le parole dei pastori e adesso le ripropongo alla riflessione di tutti.
Il presepe della parrocchia della Croce di Casalecchio. Ideazione e composizione di Pietro Campagnini
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Lieven Mehus - Adoration of the shepherds, 1650-1691
ma ognuno era in cuor suo pacificato.
Casalecchio di Reno (Bologna), 25 dicembre 2017
Dopo la notte, così intensa di raccoglimento, così colma di stupore nella luce abbagliante che squarcia le tenebre, perché il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora dentro di noi, in mezzo a noi, mentre la madre e Giuseppe rimirano nel silenzio tutto quello che è avvenuto attorno a loro, all'aurora la liturgia propone il sopraggiungere dei pastori, gli ultimi del mondo. Il canto dell'Angelo rivela l'annuncio di gioia che non lascia indifferenti. Non si può restare a casa, bisogna andare, muoversi, partire: tra noi e il Bambino che è nato si crea un rapporto dinamico, che non è forza o potenza, ma amore, è un atto di volontà dell'animo. C'è un canto che facevamo anche noi col coro, molto bello, che qui (clicca sul link) ripropongo in una versione purtroppo non nostra.
Ecco, sono proprio le parole dei pastori e adesso le ripropongo alla riflessione di tutti.
Il presepe della parrocchia della Croce di Casalecchio. Ideazione e composizione di Pietro Campagnini
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Lieven Mehus - Adoration of the shepherds, 1650-1691
domenica 24 dicembre 2017
Nella Vigilia del Santo Natale. Erano i giorni...
Erano i giorni in cui Cesare Augusto
aveva decretato il censimento
del suo impero e Giuseppe, uomo giusto,
si era messo in cammino a passo lento,
ma deciso, nel proprio abito frusto,
fino a Betlemme, ormai per
quell’evento
affollata d’insolito trambusto,
con Maria, ch’era presso il compimento
dei nove mesi, prossima alle doglie
del parto: aveva invano domandato
un alloggio, passate mille soglie,
stanco del viaggio, e s’era
accontentato
d’una misera stalla con la moglie
in quell’inverno gelido, spietato.
Casalecchio di Reno (Bologna), 24
dicembre 2017
Mi piace pensare che, la vigilia di Natale, l'attesa si fa compimento: è un viaggio, un percorso, un cammino che giunge alla meta. Non mancano gli ostacoli, come per Maria e Giuseppe, si sprecano i no e le porte chiuse, ma non importa: il senso sta nelle piccole cose, che sono poi quelle più vere e concrete. Oh, non è facile, intendiamoci: io stesso faccio una grande fatica. Però, non possiamo vivere in modo autoreferenziale, dobbiamo aprirci ai bisogni altrui, perché il Signore chiede di essere accolto in noi e tra noi. Oggi che è tutto virtuale, spostato tra i siderali interstizi di un mondo che esiste in apparenza, Dio si fa un bimbo indifeso, ma reale, in carne e ossa. Ecco, il mistero dell'incarnazione e dell'incontro... Anche questo per me è Natale; anzi, è soprattutto questo il Natale.
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Giotto, Natività, Cappella degli Scrovegni
Nella quarta domenica d'Avvento
di chi si offre al servizio del Signore,
sei il primo tabernacolo vivente
in cui ha trovato casa il redentore
degli uomini, tu, Vergine sapiente
nell’attendere trepido del cuore
la salvezza per te, per la tua gente,
per chi vaga nell’ombra dell’errore,
Maria, che col tuo sì puro, sincero,
fai concreto, possibile, reale
l’eterno, imperscrutabile Mistero,
e in te il Verbo di Dio nel suo Natale
si è fatto carne d’uomo, uomo vero,
donandoci una gioia senza eguale.
Casalecchio di Reno (Bologna),
24 dicembre 2017
La protagonista della liturgia di oggi, «umile e alta più che creatura» come dice Dante (Par. XXXIII 2), Maria, non finisce mai di stupirmi e di provocare in me un moto d'ammirazione. L'angelo le dichiara il progetto che Dio ha su di lei, poi il grande stupore e il turbamento a quell'annuncio e infine quel «sì», pieno d'umiltà e di slancio, che cambia il corso della storia. E così una giovane diventa il primo tabernacolo vivente, il luogo fisico in cui Gesù dimora tra gli uomini, nella pace e nel silenzio interiore della madre. Veramente, come recita l'antifona di oggi, i cieli riescono a irrugiadare il mondo dall'alto facendo piovere il giusto... anche noi, col nostro piccolo coro, abbiamo intonato «Rorate, caeli, desuper et nubes pluant iustum» (Is 45, 8).
Qui (clicca sul link) se ne può ascoltare una versione cantata.
Si tratta dell'antifona d'introito di questa domenica.
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Annunciazione di Simone da Firenze, Luca Luongo, opera propria, Wikimedia
24 dicembre 2017
La protagonista della liturgia di oggi, «umile e alta più che creatura» come dice Dante (Par. XXXIII 2), Maria, non finisce mai di stupirmi e di provocare in me un moto d'ammirazione. L'angelo le dichiara il progetto che Dio ha su di lei, poi il grande stupore e il turbamento a quell'annuncio e infine quel «sì», pieno d'umiltà e di slancio, che cambia il corso della storia. E così una giovane diventa il primo tabernacolo vivente, il luogo fisico in cui Gesù dimora tra gli uomini, nella pace e nel silenzio interiore della madre. Veramente, come recita l'antifona di oggi, i cieli riescono a irrugiadare il mondo dall'alto facendo piovere il giusto... anche noi, col nostro piccolo coro, abbiamo intonato «Rorate, caeli, desuper et nubes pluant iustum» (Is 45, 8).
Qui (clicca sul link) se ne può ascoltare una versione cantata.
Si tratta dell'antifona d'introito di questa domenica.
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Annunciazione di Simone da Firenze, Luca Luongo, opera propria, Wikimedia
sabato 23 dicembre 2017
Ma ti dirò soltanto
Ti vorrei dire mille cose, cento
le aggiungerei per essere sicuro
d’avere eluso l’ansia del momento
mentre l’attimo fugge nel futuro,
ti vorrei dire come m’accontento
in questo strano vivere all’oscuro
senza di te, quello che faccio o sento
adesso che non cerco, che non curo
se non d’avere qualche distrazione
maggiore la mattina in mezzo ai banchi
ripetendo la solita lezione,
ora che i giorni sono brevi, stanchi,
privi della più semplice emozione,
ma ti dirò soltanto che mi manchi.
Ogni tanto ti senti solo, soprattutto quando una persona
molto cara, per motivi tutti suoi, deve onorare impegni cui non può sottrarsi.
Certo, sono fili che restano un po’ sospesi, pendenti, ma che ci si può fare?
La nostalgia è come un lento gocciare dentro il cuore, che scava voragini di
vuoto. Non c’è parola che possa riempire questi interstizi dell’anima. Ecco,
forse basta solo un grido muto, uno sguardo nel concavo del cuore, quel trito e
ritrito «mi manchi», che pure è l’unica verità comunicabile in un momento di
tristezza.
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Ski Amade di Greby Johann, Flickr
Immagine: Ski Amade di Greby Johann, Flickr
Lapidario. A mo' di prologo
che ci rende tra noi tanto feroci
con l’uso o con l’abuso di parola
accompagnata spesso da atti atroci,
nell’angolo di mondo della scuola
fatto di mille, anzi infiniti, incroci,
di prese per il naso o per la gola
per non dire ovviamente di altre foci,
quando qualcuno infine viene meno
sparendo da patrizio o da plebeo
a seconda dell’animo che ha in seno,
io dico qui ogni sua virtù, ogni neo,
su lapidi, alla riva del mio Reno,
come un novello Mastro Edgardo Leo.
Casalecchio di Reno (Bologna), 23 ottobre 2017
Mi sarebbe sempre
piaciuto scrivere qualche cosa che, prima della fine irreparabile delle persone
da me conosciute, ne mettesse in luce pregi e difetti. Sì, va bene, lo ammetto:
alle volte indugio più sui difetti che sui pregi, ma questi sono piccoli dettagli
su cui mi sento di sorvolare, anche perché le lodi sperticate suonano spesso
come false e tendenziose, mentre le critiche corrosive sono per lo più
costruttive, a fin di bene. Per onorare questo progetto ho immaginato
un’antologia molto simile a quella scritta da edgar Lee Masters per Spoon River,
una serie di lapidi funerarie che vorrei prendessero il nome di Lapidario. Certo, con “lapidario”, di
solito, s’intende un’opera che studi i sassi, i lapides, ma non stiamo troppo a sottilizzare. Intanto ho scritto il
possibile prologo, riferito solo al mondo limitato della scuola; ma non è detto
che io non espanda le mie cerchie alll’infinito: in fondo, la fantasia non ha
né deve avere limiti.
Copyright (C) Federico Cinti 2017
Immagine: Francobollo statunitense dedicato a Edgar Lee Masters, Wikipedia
venerdì 22 dicembre 2017
Bestiario. A mo' d'epilogo
Non do giudizi: io registro eventi,
E trasfiguro nella fantasia
La gente con i suoi comportamenti
In rime, in versi, e strofe di poesia;
Io scruto e annoto i fatti più evidenti,
Le cose che succedono per via;
Parlo dei buoni, parlo dei fetenti,
E su di loro dico anch’io la mia.
Ci vuole molta, molta osservazione
Per conoscere come si conviene,
E veramente, tutte le persone,
E, infine, il risultato che s’ottiene,
Con questo alto esercizio di ragione,
È donare a sé stessi, e agli altri, il bene.
Casalecchio di Reno (Bologna), 22 dicembre 2017
E trasfiguro nella fantasia
La gente con i suoi comportamenti
In rime, in versi, e strofe di poesia;
Le cose che succedono per via;
Parlo dei buoni, parlo dei fetenti,
E su di loro dico anch’io la mia.
Per conoscere come si conviene,
E veramente, tutte le persone,
E, infine, il risultato che s’ottiene,
Con questo alto esercizio di ragione,
È donare a sé stessi, e agli altri, il bene.
Casalecchio di Reno (Bologna), 22 dicembre 2017
Più o meno andò così,
che nel 2010 avevo scritto un libretto per gli studenti della mia prima quinta,
che poi erano due classi e quindi anche i libretti furono due. Una collega,
molto arguta, mi fece: «Adesso che hai fatto gli studenti, devi fare anche i
docenti». Un compito arduo, non c’è che dire; ma poi perché solo i docenti? Mi
venne voglia di ritrarre tutte le tipologie umane o, se non tutte, almeno
quelle che più mi colpivano e che avevo conosciuto. Non m’interessava certo la
singola persona e quindi trovai naturale trasferire il dato reale su un piano più
ideale, da una dimensione particolare a una generale. Pensai ipso facto a un bel bestiario, come
quelli medievali, in cui l’animale possedeva vizi e virtù in tutto simili a
quelle umane. Non ambivo certo a una pubblicazione: pensavo piuttosto a un
gioco tra amici, quando qualcuno, un amico più degli altri, quasi mi obbligò nel
2013 a cercare un editore, che poi fu Paolo Emilio Persiani di Bologna.
Con mia incredibile sorpresa,
Gino Ruozzi, ordinario di letteratura italiana all’università di Bologna, mi
recensì sul “Sole 24 ore” del 11 agosto 2013, a soli quattro mesi dall’uscita
del magnifico libello. Certo, il «candido Gino», come
leopardianamente lo chiamo io, «esperto in forme brevi in forma breve» come
dice lui, mise in luce alcune qualità di cui io nemmeno mi ero accorto. Ma è
noto che l’autore è sempre un altro e quindi non ci feci nemmeno caso.
A distanza di anni
posso affermare che vorrei rivedere, riscrivere, ampliare quel lavoro, anche
perché poi nel frattempo ho continuato a prodigarmi, certo non in modo assiduo
e sistematico, ma forse con più acribia. Oh, si potrebbe continuare a far finta
di comporre lapidi… ecco, un bel
lapidario potrebbe essere l’idea.
Copyright testi e foto (C) Federico Cinti 2017
Copyright testi e foto (C) Federico Cinti 2017
giovedì 21 dicembre 2017
Solstizio di inverno
E il tempo si fa breve, molto breve
nel timido crepuscolo
che muore
in una luce cupa d’ombra
greve
senza colore,
senza calore, dove s’impaura
per poco il cuore
come sul confine
estremo alto a
strapiombo di un’altura
sulle rovine,
e ciò che prima era
davanti a noi
è tutto come perso, come
tetro
nell’anima e negli
occhi, e tu non puoi
volgerti indietro:
è il limite dell’essere
e dei giorni
dell’esistere fragile
dell’io
che smarrisce i suoi
termini e i contorni
dentro un addio.
Casalecchio di Reno (Bologna), 21 dicembre 2017
Al di qua della soglia, prima che il giorno finisca, veramente il sole sembra fermarsi un po' nel suo moto apparente, e tutto resta come in un'immobile sospensione prima che tornino a brillare le stelle, le tacite stelle invernali. Qui tra il monte e il Reno il quartiere brulica di persone, quasi dimentiche dell'attimo, in corsa verso l'ignoto, mentre io assaporo quel po' di caldo buono che mi regala la coperta sulle gambe, quella coperta che ormai molti anni fa mi regalò mia zia Pierina e che ancora (e sempre) tengo come una reliquia. Sto qui anch'io senza pensare a nulla, senza volgermi indietro, mentre l'anno termina un'altra volta, senza fare bilanci. Sto anch'io qui, senza volgermi indietro, lasciandomi alle spalle mille ricordi di cose che non esistono più, appunto in attesa di oltrepassare il confine al di là del già visto e già sentito.
Copyright testi e seconda foto (C) Federico Cinti 2017
Prima immagine tratta da "This World of Ours. An introduction to the study of geography ... Illustrated", FORSTER, Hugh Oakeley Arnold - Right Hon, Cassel & Co., London, 1891
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