giovedì 14 dicembre 2017

Ricordo di Pietro Guccini

E adesso, Pietro, chi verrò a trovare
in biblioteca, tra le quattro cose
buone e di sempre, chi farò arrabbiare
per quelle vecchie carte polverose

che tu amavi raccogliere e cercare,
e che io ritenevo un po’ noiose,
e con chi adesso resterò a parlare,
per ore al bar, nelle mattine uggiose?

Ricordo l’ora della colazione,
quando s’andava insieme al Maggiolino,
come un momento di consolazione,

e prendevamo brioche e cappuccino,
in mezzo a quelle mille altre persone,
e quello era il sorriso del mattino.

Casalecchio di Reno (Bologna), 26 aprile 2011


Pensando e ripensando a Santa Lucia e al portico dei Servi, cantato da Francesco Guccini (in Eskimo), la mia memoria torna inevitabilmente a Pietro, il fratello bibliotecario del cantante pavanese, di cui posso vantarmi di essere stato amico. Lo conobbi per caso, sempre ammettendo poi che il caso esista, quando ero dottorando di filologia greca e latina: mi dissero che era stato trasferito da noi il fratello di Guccini, ma di non chiedergli nulla a riguardo, a meno che non ne parlasse per primo lui, perché non ne poteva più. Così feci, già dalla prima volta. Lo rammento alto e magro, distinto e cordiale, con la voce molto simile a quella di Francesco (di più non so dire). Poi, prendemmo l’abitudine di far colazione assieme, la mattina, e la meta preferita era un bar di Belle Arti, il Maggiolino, all’angolo con Centotrecento. Sì, lo ametto, in quei momenti “si filosofava pure sui perché”, ma si parlava soprattutto di libri e di politica, le grandi passioni di Pietro. Mentre sulla seconda non eravamo sempre molto d’accordo (ricordo una volta che mi chiese uno slogan per uno sciopero sulla diminuzione delle pause di lavoro o qualcosa del genere – sono passati troppi anni - e io gli proposi: “Meno pausa, più lavoro”, e l’idea gli piacque moltissimo), sui primi ci si trovava sempre d’accordo. Mi diede, e le custodisco come reliquie, anche fotocopie di inestimabile valore, di testi pressoché introvabili: “Tienili tu”, diceva, “che li apprezzi di più questi testi”. Nascondeva un’altra delle sue grandi passioni, la musica… già, perché anch’egli era stato un notevole musicista e chitarrista ai tempi d’oro. Poi, come spesso capita, le cose cambiano. Insomma, ogni tanto, quando torno a filologia classica, mi sembra che sia ancora là, in ufficio, e che mi dica: “Mettiamo su il caffè?”. Ecco, per me Pietro è ancora tra le sue scartoffie polverose a fissare l’infinito. 




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