sabato 27 gennaio 2018

Auschwitz


Un buco nero, un baratro, l’abisso
in cui tutto precipita, si annulla
nel silenzio, nel buio, nella morte,
una domanda che non ha risposta,
ma pretende dal mondo la memoria.


Casalecchio di Reno (Bologna), 27 gennaio 2018
Ad Auschwitz sono stato due volte con i miei studenti e non trovo altre parole che queste di Primo Levi, “Se questo è un uomo”, per descriverne il senso:
«E infatti: spinto dalla sete, ho adocchiato, fuori di una finestra, un bel ghiacciolo a portata di mano. Ho aperto la finestra, ho staccato il ghiacciolo, ma subito si è fatto avanti uno grande e grosso che si aggirava là fuori, e me lo ha strappato brutalmente.
- Warum?- gli ho chiesto nel mio povero tedesco.
- Hier ist kein Warum, - (qui non c’è perché), mi ha risposto, ricacciandomi dentro con uno spintone».
 Ad Auschwitz sono stato a fine inverno: piovigginava senza fine, era freddo, il cielo pesava come un coperchio di cemento ed era un’aria di morte tutt’intorno. Ci sono tornato, qualche anno dopo, a primavera: il clima era tiepido, il cielo limpido, tutto era placido, ma quell’aria di morte restava intrisa dappertutto, sui prati, sul vagone, sulle baracche che abbiamo visitato. In ogni angolo mi risuonava quel “qui non c’è perché”.
Mi sentivo sull’orlo dell’abisso e così i miei studenti, rimasti attoniti davanti alla macchina dell’annientamento di altri uomini e donne come loro, increduli che fosse potuto succedere. Ecco, proprio l’incredulità e lo sgomento mi rendono certo che bisogna custodire caparbiamente la memoria di ciò che è stato a causa di un’ideologia di morte, perché tutto non sia avvenuto invano, perché quell’orrore non si ripeta mai più.


Copyright (C) Federico Cinti 2018

Immagine: Google immagini

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